Donatella Casamassa
Al fine di incentivare le assunzioni di lavoratori a tempo parziale e consentire al datore di lavoro di modulare in aumento la durata della prestazione lavorativa e la collocazione della stessa in base alle esigenze organizzative dell’impresa, il D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, ha previsto una particolare disciplina delle c. d. clausole elastiche o di variabilità (art. 6, co. 4). Tali clausole, nel rispetto delle previsioni contenute nei contratti collettivi di qualsiasi livello, sono negoziate a livello individuale e devono essere stipulate per iscritto, ai fini della prova e non a pena di nullità.
Il datore di lavoro che voglia, per così dire, “elasticizzare” la prestazione lavorativa del part-timer, non è tenuto a chiedere il consenso al lavoratore, il quale, però, ha diritto ad un preavviso di due giorni lavorativi, “fatte salve le diverse intese tra le parti” (v. VOZA, Il “riordino” del contratto di lavoro a tempo parziale, in LG, 2015, 1120) ed a specifiche compensazioni, secondo la misura e nelle forme determinate dai contratti collettivi (art. 6, co. 5).
In assenza di una regolamentazione della contrattazione collettiva, il datore di lavoro e il part-timer possono pattuire (sempre per iscritto) clausole elastiche ad hoc davanti ad un organismo di certificazione (ex art. 75, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276), ove il lavoratore ha la facoltà di farsi assistere da un rappresentante di un’ associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro (v. G. SANTORO PASSARELLI, Diritto dei lavori e dell’occupazione, Giappichelli, 2015, 378, secondo cui si intende «tutelare il lavoratore una volta venuto meno il “filtro” del contratto collettivo, al fine di garantire in sede protetta la genuina manifestazione di volontà in ordine ad una disciplina che può incidere negativamente sulla programmabilità della propria vita»; VOZA, Il “riordino” del contratto di lavoro a tempo parziale, in LG, 2015, 1121).
A ben vedere, il D.Lgs. n. 81/2015 prescrive un contenuto minimo indefettibile che tali clausole devono, a pena di nullità, contenere: “le condizioni e le modalità con le quali il datore di lavoro, con preavviso di due giorni lavorativi, può modificare la collocazione temporale della prestazione e variarne in aumento la durata, nonché la misura massima dell’aumento, che non può comunque eccedere il limite del 25 % della normale prestazione annua a tempo parziale”, riconoscendo a favore del lavoratore una maggiorazione della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15 %, comprensiva dell’incidenza della retribuzione sugli istituti retributivi indiretti e differiti (art. 6, co. 6).
Per quanto attiene, invece, la facoltà di revocare il consenso prestato alla clausola elastica (c.d. ripensamento), il successivo co. 7 dell’art. 6, stabilisce che tale possibilità spetti solo in caso di particolari motivi di salute del dipendente o dei suoi familiari e in caso di lavoratori studenti (ai sensi dell’art. 10, co. 1, L. 20 maggio 1970, n. 300).
Qualora il lavoratore si rifiuti di concordare variazioni dell’orario di lavoro, tale rifiuto non può costituire un giustificato motivo di licenziamento (art. 6, co. 8).