Nota a Cass. 8 marzo 2016, n. 4507
Gennaro Ilias Vigliotti
Il medico di Azienda ospedaliera pubblica, il quale abbia optato per il regime c.d. “intramoenia”, e svolga comunque attività libero-professionale al di fuori della sua struttura di appartenenza senza apposita autorizzazione, rischia il licenziamento solo quando il suo comportamento, alla luce dell’ammontare dei compensi non versati all’Ente o della continuità del suo verificarsi, si traduca in un fatto grave e abnorme, tale da alterare integralmente il vincolo di fiducia tra l’azienda pubblica ed il dipendente stesso.
A ribadire questo principio di diritto è stata la Cassazione, Sez. Lav., con la sentenza 8 marzo 2016, n. 4507: con tale provvedimento, la Corte ha confermato l’illegittimità del recesso per giusta causa intimato al dirigente medico che, contravvenendo alle disposizioni dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001, esercitava attività libero-professionale non autorizzata dall’Ente pubblico di appartenenza.
Secondo i giudici di legittimità, infatti, in questi casi si applica il disposto del vigente art. 8 del CCNL dell’area Dirigenza Medica, la cui lettera g) sancisce l’applicabilità della sola sanzione conservativa della sospensione da un minimo di tre giorni ad un massimo di sei mesi dal servizio, con privazione della retribuzione spettante.
Per superare tale previsione, dunque, e legittimare un recesso in tronco dal rapporto di lavoro nei casi di attività “extramuraria” non autorizzata, è necessario si verifichi un inadempimento “grave” ed “abnorme”, che va provato in maniera precisa e puntuale da parte del datore di lavoro e che può risultare da svariati indici, come la continuità temporale del comportamento illegittimo assunto dal dirigente o la particolare consistenza delle somme percepite e non versate in favore della struttura pubblica di appartenenza.