Francesco Belmonte

Nota a Tribunale di Milano, sez. lavoro, 16 febbraio 2016

È legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovuto ad una riorganizzazione dell’attività aziendale – cui consegue la soppressione della posizione lavorativa del dipendente, divenuta eccessivamente onerosa – indipendentemente dal fine di arricchimento, o impoverimento, perseguito dall’imprenditore.Il datore di lavoro deve fornire la prova dell’effettività e non pretestuosità delle ragioni addotte e della ricollegabilità (c.d. nesso causale) delle stesse al licenziamento del lavoratore addetto a quel posto soppresso. Al Giudice non è consentito sindacare la scelta imprenditoriale, in quanto lo stesso può solo verificarne l’effettività. Tale è il principio di diritto elaborato dal Tribunale di Milano, sez. lavoro, 16 febbraio 2016, chiamato a pronunciarsi sull’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo di un impiegato commerciale, intimato sul presupposto che “al fine di una più economica e sostenibile gestione”, l’azienda aveva deciso “di perseguire la maggiore riduzione e razionalizzazione possibile dei costi della propria struttura commerciale, mediante il sempre più generalizzato affidamento delle vendite sul territorio ad agenzie commerciali, remunerate con provvigioni”, con la conseguente soppressione immediata del posto cui era addetto il prestatore. Tale scelta si rendeva necessaria per fronteggiare “la grave crisi economica generale”, che aveva determinato: “una costante sofferenza del fatturato, l’inasprimento della competizione nel mercato di riferimento, l’aumento delle perdite sui crediti della società”.

I giudici milanesi, dopo aver ricondotto alla riorganizzazione dell’attività aziendale la giustificazione del recesso, lo hanno ritenuto legittimo richiamando quanto affermato dalla Corte di Cassazione (18 novembre 2015, n. 23620), secondo cui il contratto di lavoro può essere “sciolto a causa di un’onerosità non prevista, alla stregua delle conoscenze ed esperienze di settore, nel momento della sua conclusione (art. 1467 c.c.) e tale sopravvenienza ben può consistere in una valutazione dell’imprenditore che, in base all’andamento economico dell’impresa rilevato dopo la conclusione del contratto, ravvisi la possibilità di sostituire un personale meno qualificato con dipendenti maggiormente dotati di conoscenze e di esperienze e quindi attitudini produttive. Ne’ l’esercizio di tale potere e’ sindacabile nel merito dal giudice, e ciò tanto più vale quando il legislatore, come indica l’art. 30 L. n. 183 del 2010, invocato dalla ricorrente, inclina a tutelare più intensamente la libertà organizzativa dell’impresa. Al controllo giudiziale sfugge necessariamente anche il fine di arricchimento, o impoverimento, perseguito dall’imprenditore (anche nei casi in cui questo controllo sia tecnicamente possibile), considerato altresì che un aumento di profitto si traduce non, o non solo, in un vantaggio per il suo patrimonio individuale ma principalmente in un incremento degli utili dell’impresa ossia in un beneficio per la comunità dei lavoratori.”

Quanto, alla prova dell’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, il Tribunale accoglie le affermazioni della Cassazione, secondo la quale tale prova non deve essere intesa in senso rigido «dovendosi esigere dallo stesso lavoratore, che impugni il licenziamento, una collaborazione nell’accertamento di un possibile “repêchage”, mediante l’allegazione di circostanze di fatto utili a dimostrare, o anche solo a far presumere, l’esistenza, nell’ambito dell’azienda, di posti di lavoro cui poter essere ancora adibito, e conseguendo a tale allegazione l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti» (Cass. n. 4299/2013).

Sempre secondo il Tribunale, nel caso in esame, una simile “collaborazione” manca, in quanto il dipendente non ha indicato alcuna posizione disponibile che avrebbe potuto essergli offerta, limitandosi unicamente ad evidenziare, in modo generico, che la società datrice era parte di un gruppo multinazionale.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: riorganizzazione aziendale, eccessiva onerosità, insindacabilità delle scelte datoriali e repêchage.
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