Reintegrati, salvo opzione, i genitori licenziati per maternità/paternità.
Francesco Belmonte
L’art. 54, D.Lgs. 25 marzo 2001, n. 51 (“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, e successive modifiche ed integrazioni), prevede alcune ipotesi in cui non è ammesso il licenziamento, sia della madre che del padre lavoratore, anche adottivi e affidatari. Nello specifico, è vietato:
- il licenziamento della lavoratrice dall’inizio della gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro, nonché fino al compimento di 1 anno di età del bambino;
- il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino;
- il licenziamento del padre, in caso di fruizione del congedo di paternità, per la durata del congedo stesso, nonché fino al compimento di 1 anno di età del bambino (si tratta dei casi in cui il padre subentra nel congedo della madre, quando quest’ultima è impossibilitata a fruirne – per decesso, grave infermità, abbandono del figlio o affidamento esclusivo -).
Per i genitori adottivi o affidatari simili divieti trovano applicazione entro 1 anno dall’ingresso del minore adottato o in affidamento nel nucleo familiare, a prescindere se l’affidamento sia temporaneo o definitivo. In caso di adozione internazionale, il divieto di licenziamento opera dal momento della comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando, ovvero della comunicazione dell’invito a recarsi all’estero per ricevere la proposta di “abbinamento” (art. 54, co. 9, T. U.).
I predetti divieti di licenziamento non trovano applicazione in caso di:
– colpa grave della lavoratrice o del lavoratore costituente giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro (art. 54, co. 3, lett. a), T. U.);
– cessazione dell’attività dell’azienda (art. 54, co. 3, lett. b), T. U.);
– ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice o il lavoratore sono stati assunti o risoluzione del rapporto di lavoro per scadenza del termine (art. 54, co. 3, lett. c), T. U.);
– esito negativo della prova (art. 54, co. 3, lett. d), T. U.).
Al di fuori di tali ipotesi, qualora il datore di lavoro proceda a licenziare la madre o il padre lavoratore in violazione del divieto di licenziamento per maternità/paternità, l’atto è considerato nullo, a prescindere dalla conoscenza da parte del datore di tale evento al momento del recesso, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria (c. d. tutela reale) che prevede per i datori di lavoro, a prescindere dalla dimensione occupazionale, il seguente regime sanzionatorio:
- la reintegrazione del lavoratore o della lavoratrice nel posto di lavoro; il risarcimento del danno subìto, nella misura della retribuzione maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (l’indennità non può comunque essere inferiore a 5 mensilità), dedotto solo quanto percepito attraverso un’altra occupazione (c. d. aliunde perceptum);
- il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali;
- il c.d. diritto di opzione a favore del prestatore, ossia la possibilità per quest’ultimo di scegliere, in luogo della reintegra, il pagamento di un’indennità pari a 15 mensilità, con conseguente risoluzione del rapporto di lavoro.
Il calcolo dell’indennità. In seguito all’entrata in vigore del D. Lgs. 4 marzo 2015 n. 23, tale disciplina risulta diversificata in relazione alle modalità di calcolo delle indennità.
In particolare, per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del Decreto n. 23), trovano applicazione le disposizioni dell’art. 18, co. 1-3, Legge 20 maggio 1970, n. 300 (c. d. Statuto dei Lavoratori), come modificate dalla riforma Fornero, in base alle quali il parametro per quantificare le indennità è costituito dall’ultima retribuzione globale di fatto; mentre, per le nuove assunzioni successive al 7 marzo, la disciplina regolatrice è quella prevista dall’art. 2, co. 1-3, D.Lgs. n. 23/2015, secondo cui le stesse indennità sono commisurate, invece, all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.
La tutela specifica prevista dall’art. 54 T. U., cessa di avere applicazione con l’effettiva ripresa dell’attività lavorativa da parte dei genitori purché sia stata presentata, al datore di lavoro, la certificazione richiesta per garantire la ripresa dell’attività lavorativa (INPS Circ., 27 ottobre 2011, n. 139).