Gli strumenti apprestati dal codice civile: artt. 2087 e 2049.

Flavia Durval

Lo strumento tradizionale di tutela accordato per assicurare protezione alle vittime di molestie sessuali sui luoghi di lavoro è costituito dall’art. 2087 c. c., in base al quale l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure necessarie a tutelare non solo l’integrità fisica ma anche la

personalità morale dei dipendenti. Tale obbligo di protezione (che si inserisce nel quadro di una obbligazione contrattuale gravante sul datore di lavoro) implica che il datore di lavoro, il quale sia a conoscenza del compimento di molestie sessuali nell’ambito della sua impresa, deve intervenire ed adottare tutte le misure, ivi comprese quelle di tipo disciplinare (licenziamento, sospensione, etc.) oltre che organizzative, idonee a garantire appieno la tutela dei dipendenti.

La giurisprudenza prevalente ha statuito che il datore di lavoro, se era a conoscenza o doveva ragionevolmente sapere delle molestie e non è intervenuto per far cessare tali condotte, non può andare esente da responsabilità, da cui deriva, data la natura costituzionale dei beni lesi, il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale per il lavoratore.

La fonte della responsabilità dell’impresa in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro va altresì ricercata nell’art. 2049 c. c., che disciplina il sistema delle responsabilità dei “padroni” e dei committenti per fatto del dipendente.
Tale strumento di tutela (in un certo senso residuale nei limiti in cui non sia possibile accertare la violazione degli obblighi di protezione incombenti sul datore di lavoro e in altro senso alternativo al primo)
disciplina la particolare forma di responsabilità che vede coinvolto il datore di lavoro (o committente) per fatto illecito commesso dal proprio dipendente nello svolgimento delle funzioni assegnate e in solido con lo stesso.
Il datore di lavoro va esente da responsabilità solo nel caso in cui il dipendente autore del fatto illecito abbia agito con dolo e al di fuori del c.d. “rapporto di occasionalità necessaria” con le proprie mansioni, vale a dire quando l’evento lesivo si sia verificato sul luogo di lavoro solo in via del tutto accidentale e casuale.
Non basta quindi ad escludere la responsabilità del datore di lavoro la condotta dolosa del dipendente, in quanto ciò non è sufficiente ad elidere il rapporto di occasionalità necessaria con le mansioni affidategli, tutte le volte in cui tale condotta sia resa possibile oppure agevolata dal rapporto di lavoro con il committente, il quale quindi è chiamato a risponderne ai sensi dell’ art. 2049 c. c.
Secondo l’orientamento prevalente, il fondamento giustificativo della responsabilità civile c.d. “indiretta” prevista dall’art. 2049 c.c. trova le sue origini nella teoria del rischio di impresa, in forza della quale colui che trae vantaggio dall’opera svolta da un preposto deve rispondere altresì degli eventuali rischi connessi all’esercizio della propria.
“Quale condizione essenziale per la configurabilità di tale peculiare forma di responsabilità, che costituisce una vistosa deroga al principio della responsabilità per colpa, rientrando invece nel novero della responsabilità oggettiva, si pone, anzitutto, l’esistenza di una condotta produttiva di danno: in altri termini solo ove la condotta del dipendente abbia causato un danno risarcibile nei confronti di un terzo scatta quella solidarietà che ingloba la responsabilità anche del committente” (Cass. 12 luglio 2012, n. 27706).

Tutela della salute nei luoghi di lavoro.
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