Part time nell’impiego pubblico e regime delle incompatibilità

Flavia Durval

Il rapporto tra lavoro a tempo parziale e regime delle incompatibilità nel pubblico impiego è disciplinato dall’art. 53, D.Lgs. n. 165/2001, ai sensi del quale (co. 1) rimane ferma “per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico” (approvato con D.P.R. n. 3/1957), salvo talune deroghe (v. art. 23 bis, D.Lgs. n. 165/2001), quali quelle contenute nell’art. 1, co. 56 e 56-bis, L. n. 662/1996, il quale, con un importante cambio di rotta, ha eliminato il precedente regime di assoluta incompatibilità fra attività di impiego pubblico ed altra attività lavorativa, anche libero professionale, previa trasformazione della originaria occupazione a tempo pieno in occupazione a tempo parziale.

La disposizione (art. 53), al co. 6, esclude altresì espressamente dal regime dell’incompatibilità (di cui ai successivi commi da 7 a 13) i “dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno”, i docenti universitari a tempo definito e le altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da norme speciali lo svolgimento di attività libero-professionali.

Tale affievolimento della incompatibilità è però “circondato” da una serie di cautele. Il lavoratore deve infatti ottenere l’autorizzazione della Amministrazione, che potrà negarla nel caso in cui l’ulteriore attività di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto d’interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente, oppure comporti, in relazione alle mansioni ed alla posizione organizzativa ricoperte dal dipendente, pregiudizio alla funzionalità dell’Amministrazione stessa. La trasformazione del rapporto fra full time e part time deve poi essere valutata anche in ragione del limite percentuale della dotazione organica di personale con contratto part time.

Fa però eccezione alla compatibilità del part time con l’iscrizione agli albi professionali, la possibilità d’iscriversi agli albi degli avvocati (ex art. 1L. 25 novembre 2003, n. 339).

In particolare, in seguito ad un serrato dibattito circa la conciliabilità o meno fra professione forense e doveri del dipendente pubblico, seppur a tempo parziale, il legislatore ha reintrodotto, con la L. n. 339/2003,  il regime d’incompatibilità (dell’iscrizione dei dipendenti pubblici all’albo degli avvocati), a prescindere dal tipo d’impegno lavorativo (e dunque anche nell’ipotesi del part time), fatta eccezione per i professori di Università o di scuole secondarie statali (v. art. 3, r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificaz., in L. 22 gennaio 1934, n. 36). Con la conseguenza che i dipendenti pubblici a tempo parziale possono svolgere contemporaneamente, la generalità delle professioni, ma non quella di avvocato (in merito al nuovo regime delle incompatibilità, cfr. A. I. NATALI, P.A.: dipendenti part time e professione di avvocato, in DPL, 2011, 1180; M. MARI e A. OZZI, Incompatibilità tra rapporto part time ed esercizio della professione forense, in GPI., 2012, 60; D. MEZZACAPO, Problemi in tema di incompatibilità dei pubblici dipendenti: l’esercizio della professione di avvocato, in ADL, 2014, 315 e 325).

Una simile esclusione, avallata in più occasioni dalla giurisprudenza europea (v. Corte di Giustizia UE, 2 dicembre 2010, C-225/09) e nazionale (cfr.  Corte Cost. 21 novembre 2006, n. 390, in DG, 2006, 12; Corte Cost., ord., 13 giugno 2008, n. 210, in GCost, 2008, 2350; Corte Cost. 27 giugno 2012, n. 166, in LG, 2012, 1071, con nota di P. COSMAI, La Consulta conferma il divieto di cumulo per gli avvocati pubblici; Corte Cost., ord., 13 gennaio 2014, n. 3, in GCost, 2014, 81. Cfr. anche Corte Cost. 22 maggio 2013, n. 91, in FI, 2013, I, 2089. Per la giurisprudenza di legittimità, v. Cass. 5 dicembre 2013, n. 27266, in MGL, 2014, 478, con nota di C. GASPARRO, Pubblico dipendente e iscrizione all’albo degli avvocati e Cass. 16 maggio 2013, n. 11833, in RFI, 2013, voce Avvocato, nn. 197, 198) mira, a ben vedere, a giustificare una tutela differenziata fra lavoratori svolgenti libere professioni e, più in generale, una diversità di disciplina dell’istituto fra impiego pubblico e privato. Il che suscita talune perplessità. Non sembra infatti del tutto convincente la tesi secondo cui lo svolgimento della professione di avvocato da parte del lavoratore pubblico risulta impedito dal rischio di compromettere l’indipendenza del difensore (e, quindi, il diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost.), nonché dalla perdita di professionalità del lavoratore medesimo, in quanto il suo prestigio di difensore sarebbe basato solo sul suo potere nell’ambito dell’Amministrazione, con creazione di una clientela al di fuori dei canoni di corretta concorrenza e con una commistione di interessi privati in attività pubbliche.

Come aveva già rilevato la stessa Corte Costituzionale (Corte Cost. 11 giugno 2001, n. 189, in MGL, 2001, 1106, con nota di C. TIMELLINI, Il lavoro a tempo parziale nella p.a. secondo la più recente giurisprudenza costituzionale) circa la possibile violazione dei doveri propri della professione forense (rispetto del diritto di difesa), per i professionisti legati da un rapporto di dipendenza con la Pubblica Amministrazione in regime di part time ridotto non si pongono particolari esigenze che non possano trovare soddisfazione, così come per l’opera di tutti i professionisti, nella disciplina generale dell’attività da essi svolta, assistita, ove occorra, dal presidio della sanzione penale (artt. 380 e 622 c. p.), oltre che dalle norme deontologiche elaborate nell’ambito degli ordinamenti particolari, che valgono anch’esse ad assicurare il corretto espletamento del mandato, giustificando, nei congrui casi, l’esercizio del potere disciplinare degli organi professionali.

Non sembra poi rinvenibile “a monte” una situazione di inconciliabilità fra doveri gravanti sia sull’avvocato pubblico dipendente –  questi, infatti, è titolare di un doppio obbligo di fedeltà, sia nei confronti della Pubblica Amministrazione di appartenenza – sia nei confronti delle regole deontologiche che presiedono al corretto adempimento della professione stessa (e quindi non vi è alcuna violazione degli artt. 24 e 97 Cost.); né è riscontrabile a priori un pregiudizio al corretto funzionamento degli uffici o una lesione dell’efficienza della Pubblica Amministrazione, in quanto, per il dipendente che richieda il regime di part time ridotto, sono previsti limiti all’esercizio di ulteriori attività lavorative, e, in particolare, di quella professionale forense, che si rinvengono non solo nella l’impossibilità di un conferimento di incarichi da parte delle Amministrazioni Pubbliche in favore del part timer e nel contestuale divieto di esercitare il patrocinio in controversie in cui sia parte la Pubblica Amministrazione (art. 1, co. 56 bis, L. n. 662/1996), ma anche nella previsione (co. 58 del medesimo articolo) che consente la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto di interesse, nonché nella riserva alle medesime Amministrazioni Pubbliche della potestà di indicare le attività «comunque non consentite» in «ragione della interferenza con i compiti istituzionali» (co. 58-bis) e nel divieto, per i pubblici dipendenti, di espletare, nell’ambito territoriale del proprio ufficio, incarichi professionali per conto delle Amministrazioni di appartenenza (art. 18, co. 2 ter, L. n. 109/1994).

Prestazione ridotta, incompatibilità e attività libero professionale del dipendente pubblico.
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