Licenziata la dipendente di banca che utilizzi credenziali altrui per accedere al terminale.

Flavia Durval

Costituisce giustificato motivo soggettivo di licenziamento il comportamento di una impiegata di banca che, mediante l’utilizzo vietato delle credenziali del precedente direttore di filiale, acceda al terminale, e ricorra all’uso protratto della password, allo scopo di ottenere informazioni su soggetti ed imprese, non collegate ad esigenze di servizio.

Lo ha stabilito la Cassazione (15 giugno 2016, n. 12337), precisando che il fatto che la lavoratrice avesse richiesto la password e non le fosse stata data risposta non assume valore decisivo nel giustificare la protrazione della condotta interdetta.

L’utilizzo non consentito della password e gli accessi alla banca dati sono stati valutati dai giudici alla luce della “delicatezza della funzione attribuita alla dipendente e della possibilità di accesso ai dati personali sensibili di terzi, che avrebbe imposto un rigoroso rispetto delle regole e delle disposizioni impartite” e la cui violazione era pertanto idonea a determinare il venire meno dell’imprescindibile elemento fiduciario alla base del rapporto di lavoro.

In questo quadro, la Cassazione, confermando il giudizio della corte territoriale, ha affermato il principio che l’utilizzazione, da parte dell’impiegata di un istituto di credito, della password del precedente direttore e gli accessi protratti per mesi alla banca dati per svolgere verifiche su persone e imprese non attinenti alle proprie mansioni costituiscono grave negazione delle obbligazioni contrattuali e legittimano il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

L’utilizzo vietato di password altrui legittima il licenziamento.
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