L’utilizzo per gran parte del tempo lavorativo del pc aziendale per accedere a Facebook integra una violazione degli obblighi di diligenza e buona fede nell’espletamento della prestazione lavorativa e giustifica il licenziamento.

Nota a sentenza Trib. di Brescia 13 giugno 2016, n. 782

Giovanni Piglialarmi

Sempre più frequentemente il lavoratore pone in essere sui social network comportamenti illeciti ed inadempienti nei confronti dell’azienda; comportamenti che, già da tempo hanno determinato l’esigenza, da parte del datore di lavoro-creditore della prestazione, di conoscere le modalità con le quali i dipendenti utilizzano le piattaforme digitali di condivisione (v. A. Ingrao, Il controllo a distanza effettuato mediante Social network, in Labour & Law Issues, n. 2/2016).
Il social network ha creato una società virtuale, ove ogni singolo utente esprime in piena libertà le proprie considerazioni relative al mondo del lavoro, alla società, alle tendenze, facendo appello anche ad un variegato registro linguistico. Questo eccessivo bisogno di “dire qualcosa”, di condividere uno “stato” o ancora di controllare cosa un utente fa o dice rispetto ad una determinata situazione o ora del giorno, spesso ingenera condotte che hanno sovente un riflesso dannoso nella vita personale, tra cui la stabilità del rapporto di lavoro. La giurisprudenza ha affrontato diversi casi in cui il lavoratore è stato licenziato per un improprio utilizzo del social network Facebook (si rinvia a G. Piglialarmi, Si selfie chi può!, in www.soluzionilavoro.wordpress.com; G. Piglialarmi, Licenziamento del lavoratore che su Facebook manifesta disprezzo per i “padroni”, in www.soluzionilavoro.wordpress.com). Si è trattato spesso di espressioni ingiuriose contro l’azienda, pubblicazioni di foto o comunque manifestazioni del pensiero che eccedevano il diritto di critica, tali da incrinare inevitabilmente il vincolo fiduciario.
Di recente, il Tribunale del lavoro di Brescia, con sentenza n. 782 del 13 giugno 2016 si è occupato di una vicenda peculiare. Il Giudice del lavoro ha dichiarato legittimo il licenziamento di una dipendente dopo che il datore di lavoro aveva scoperto che la stessa aveva effettuato circa 6.000 accessi – di cui 4.500 solo sul social network Facebook – negli ultimi 18 mesi lavorativi a siti internet di vario tipo (giochi, musica, film). In particolare, il datore di lavoro, attraverso l’analisi della cronologia contenuta all’interno del browser di navigazione, ha potuto constatare che la segreteria dello studio medico utilizzava per gran parte del tempo lavorativo il pc aziendale per accedere a Facebook. “Tale condotta – si legge nella sentenza – integra una violazione degli obblighi di diligenza e buona fede nell’espletamento della prestazione lavorativa da parte della lavoratrice e non può, dunque, ritenersi di per sé legittima”.
La difesa della lavoratrice ha contestato la legittimità del controllo della cronologia contenuta nel browser, sostenendo che si trattasse di una modalità di controllo della dipendente durante lo svolgimento della prestazione lavorativa. Ma il Giudice ha chiarito che la verifica da parte del datore di lavoro del database che contiene la cronologia di navigazione del computer non richiede l’installazione di nessun dispositivo di controllo, né implica la violazione della privacy, trattandosi di dati che vengono registrati da qualsiasi computer.
Dunque, secondo il Giudice, non può ipotizzarsi una violazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970) per due ragioni: a) la stampa del database della cronologia di navigazione e la conseguente produzione in giudizio per dimostrare l’inadempimento del lavoratore è utile “al solo fine di verificare l’utilizzo di uno strumento messo a disposizione dal datore di lavoro per l’esecuzione della prestazione”; b) l’attività di controllo della cronologia di navigazione non comporta una verifica della produttività e dell’efficienza durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, ma è finalizzata alla verifica di quelle attività estranee alla prestazione di lavoro che potrebbero ledere il vincolo fiduciario. Dalla condotta posta in essere dalla lavoratrice ne è scaturita la legittimità del licenziamento per giusta causa.

Rapporto di lavoro e social network: ancora un caso di licenziamento per violazione dell’obbligo di diligenza e buona fede.
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