Secondo un recente indirizzo della Corte di Cassazione, con l’espressione «insussistenza del fatto contestato» l’art. 18, co. 4, dello Statuto dei Lavoratori si riferisce non solo all’ipotesi della mancata realizzazione materiale della condotta contestata, ma anche a quello in cui l’evento in questione sia privo di illiceità, cioè irrilevante sul piano disciplinare.

Gennaro Ilias Vigliotti

Con la sentenza 13 ottobre 2015, n. 20540, la Corte di Cassazione ha ribadito che «non è plausibile che il Legislatore, parlando di “insussistenza del fatto contestato”, abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione, restando estranea al caso presente la diversa questione della proporzione tra fatto sussistente e di illiceità modesta, rispetto alla sanzione espulsiva».

Secondo tale orientamento, dunque, con l’espressione “fatto” la norma si riferisce non a qualunque accadimento naturalistico, bensì al solo “fatto-inadempimento” e cioè a quelle vicende che siano effettivamente portatrici di un carattere antigiuridico, e dunque illecito.

Pertanto, il fatto è insussistente non solo quando non si è mai materialmente realizzato, ma anche quando non sia stato il lavoratore licenziato a commetterlo, ovvero quando non sia qualificabile come inadempimento, o, ancora, quando non si tratti di un inadempimento imputabile (si pensi, ad esempio, ai casi di forza maggiore).

In altre parole, la completa irrilevanza giuridica del fatto (pur accertato) equivale alla sua insussistenza materiale, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria ai sensi dell’art. 18, co. 4, Stat. Lav.

Tale ricostruzione ha ricevuto conferma con la sentenza 20 settembre 2016, n. 18418, che ha ribadito i medesimi principi già espressi in precedenza.

E’ opportuno domandarsi se le sentenze in commento avranno riflessi sull’interpretazione delle recenti norme introdotte con il Jobs Act. Il D. Lgs. n. 23/2015, sul c.d. “contratto di lavoro a tutele crescenti”, infatti, prevede la sanzione della reintegrazione del lavoratore in servizio quando viene dimostrata «l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento» (art. 3, co. 2).

Applicando ai nuovi assunti i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione sulla nozione di “fatto” insussistente, deve considerarsi ricompreso in tale categoria anche quell’accadimento che, pur materialmente realizzatosi, non costituisca un inadempimento delle obbligazioni contrattuali da parte del lavoratore e, conseguentemente, non sia rilevante sul piano disciplinare.

In definitiva: se il fatto non è materialmente accaduto oppure è accaduto ma non ha rilevanza disciplinare, perché è inconsistente o il lavoratore non ha colpa, la sanzione è la reintegrazione (anche in regime di tutele crescenti); se, invece, il fatto ha una rilevanza disciplinare, ma è sproporzionato rispetto al licenziamento, il datore di lavoro viene condannato a pagare l’indennità da 12 a 24 mensilità (o alle tutele crescenti, se trattasi di nuovo assunto).

 

Licenziamenti: c’è la reintegra se il fatto non ha rilievo disciplinare.
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