Il Tribunale di Roma si è pronunciato in favore della nullità dei contratti di lavoro firmati da aziende a partecipazione pubblica senza ricorrere ad apposite procedure di reclutamento.
Francesco Belmonte
L’art. 18, co. 1, del D. L. n. 112/2008, convertito in L. n. 133/2008, ha previsto che, a decorrere dal 21 ottobre 2008, tutte le società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali sono tenute a rispettare le procedure dettate dall’art. 35, co. 3, D.Lgs. n. 165/2001, e, in particolare i principi di pubblicità, trasparenza, parità di trattamento.
Ebbene, nel periodo compreso tra i mesi di novembre e dicembre del 2008, l’Azienda Municipale Ambiente S.p.a. – la società partecipata al 100% dal Comune di Roma che si occupa dello smaltimento dei rifiuti della Capitale – aveva assunto 41 dipendenti senza ricorrere alle procedure concorsuali imposti dalla legge. Tale circostanza era stata accertata anche dal Tribunale Penale di Roma, con sentenza del 27 maggio 2015, il quale aveva stabilito che, nonostante le assunzioni fossero state autorizzate con determinazione aziendale del 20 ottobre 2008 e, dunque prima che entrasse in vigore la L. n. 133/2008, i vertici aziendali di Ama avevano alterato la relativa documentazione, al fine di evitare l’applicazione obbligatoria delle procedure concorsuali dettate dalla legge e, dunque, per poter procedere ad assunzioni dirette.
In conseguenza di tale accertamento penale, l’Azienda, in via di autotutela, aveva disposto, nell’autunno del 2015, il licenziamento dei 41 dipendenti interessati dalle assunzioni irregolari: tali provvedimenti erano motivati dalla violazione delle norme che presiedono alle procedure di assunzione di personale da parte delle società pubbliche come Ama.
Avverso tali provvedimenti aveva proposto ricorso dinanzi alla Sezione Lavoro del Tribunale di Roma la maggior parte dei dipendenti licenziati, principalmente adducendo la natura discriminatoria del provvedimento di recesso adottato nei loro confronti, poiché fondato su motivi preminentemente politici, oltre alla completa insussistenza dei fatti addebitati.
I giudici del Tribunale di Roma, però, nelle ordinanze finora pubblicate (a quanto consta, si tratta della n. 56947/16, la n. 64732/16 e la n. 76385/16) hanno assunto un indirizzo coerente, incentrato sulla conclamata nullità dei contratti di lavoro dei 41 dipendenti dell’Ama assunti nel 2008 per contrarietà degli stessi a norme imperative, ai sensi dell’art. 1418, co. 1, c. c., in base al quale: «il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente». Le assunzioni del 2008 finora giudicate, dunque, sarebbero state disposte in maniera deliberata, in totale assenza di ogni procedura, dovendosi conseguentemente considerare nulle e non soltanto annullabili «[…] per violazione di norma imperativa, anche in assenza di specifica disposizione che sancisca espressamente la sanzione della nullità per il caso di assunzione in mancanza di ogni procedura» (così l’ordinanza n. 64732 del 13 giugno 2016).
I giudici, dunque, non hanno proceduto ad un vaglio nel merito del licenziamento: «essendo nullo il contratto di lavoro, viene meno la necessità di esaminare se il licenziamento sia legittimo o meno, giacché il rapporto instaurato a seguito di contratto nullo è rapporto di mero fatto, che può cessare in qualsiasi momento, senza che il lavoratore (o il datore di lavoro) possa vantare altri diritti se non quelli connessi alla avvenuta prestazione di lavoro, giusto quanto prevede l’art. 2126 c.c.».
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