La scadenza del periodo di prova determina, in mancanza di tempestivo recesso da parte dell’azienda, la “stabilizzazione” del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Nota a Cass. 3 agosto 2016, n. 16214

Nicolò Mastrovito

Il patto di prova costituisce un elemento accidentale del contratto, che non sussiste né può produrre effetto se non è espressamente previsto dalle parti nel contratto individuale.

Lo stesso, poi, al pari dell’eventuale proroga, deve risultare da atto scritto ad substantiam (ai sensi dell’art. 2096 c.c.) e tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta la nullità assoluta del patto di prova, deve sussistere (secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza) sin dall’inizio del rapporto di lavoro, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie (Cass. 22 ottobre 2010, n. 21758, 10 ottobre 2006, n. 21698, 26 novembre 2004, n. 22308). Ancora, in base all’art. 2096 c.c., una volta scaduto il termine di durata della prova, ciascuna parte può recedere dal rapporto, divenendo, in caso contrario, definitiva l’assunzione. In altri termini, il mancato esercizio del tempestivo recesso, da parte dell’azienda, alla scadenza del periodo di prova ritualmente convenuto determina la “stabilizzazione” del rapporto a tempo indeterminato.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione (3 agosto 2016, n. 16214), con riferimento ad un caso in cui, la forma scritta difettava, dato che la lavoratrice si era limitata a predisporre il documento di proroga del patto di prova, inviandolo poi per posta elettronica alla società, ma senza sottoscriverlo.

Nello specifico, essendo scaduto il periodo di prova di tre mesi contrattualmente pattuito per iscritto, la società aveva convenuto la proroga di due mesi (dell’iniziale periodo di prova) e la lavoratrice, in risposta ad una mail aziendale con la quale le si rappresentava la necessità di predisporre la lettera per la proroga, si offriva di farlo ella stessa, e la inviava per posta elettronica. Tale documento, sottoscritto in duplice originale dal legale rappresentante della società, veniva consegnato alla dipendente affinché vi apponesse la sua sottoscrizione e provvedesse alla relativa conservazione. Proseguito il rapporto, dato che l’esperimento aveva avuto esito negativo, la società aveva provveduto a comunicare il recesso ed aveva appreso che la lavoratrice non aveva sottoscritto la proroga. In tal modo, si era “artatamente” procurata il consenso della società alla prosecuzione del rapporto di lavoro, al solo scopo di indurla a non comunicare da subito il mancato superamento del periodo di prova.

Secondo i giudici, nel caso di specie, non rileva la mancata sottoscrizione della proroga del patto di prova da parte della lavoratrice. L’asserito dolo, infatti, non può ritenersi rilevante “nel senso voluto dalla società, in quanto esso non avrebbe inciso sulla determinazione volitiva che ha determinato la stipulazione del contratto di lavoro o l’individuazione dei suoi elementi essenziali, ma sul mancato perfezionamento di un elemento accidentale dello stesso”.

In particolare, la Corte precisa che “a norma dell’art. 1439 c.c., il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel “deceptus” una rappresentazione alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell’art. 1429 c.c.. Ne consegue che a produrre l’annullamento del contratto non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull’altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne, che abbiano avuto comunque un’efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte e, quindi, sul consenso di quest’ultima”.

In sintesi, “la circostanza che la lavoratrice abbia sottaciuto nella propria prospettazione dei fatti la vicenda relativa alla proroga del patto di prova” è ritenuta “non rilevante, in quanto tale vicenda non era decisiva ai fini estintivi o modificativi del diritto fatto valere in giudizio”.

La proroga del periodo di prova è ammessa dalla dottrina e dalla giurisprudenza purché mantenuta entro il limite massimo previsto dalla legge (sull’inderogabilità del limite massimo di sei mesi, v Cass., 13 marzo1992, n. 3093) e purché stipulata per iscritto (P.A. VARESI, Il patto di prova nel rapporto di lavoro, in  Le assunzioni. Prova e termine nei contratti di lavoro, Comm. c.c. Schlesinger, Milano, 1990, 25).

Scadenza del periodo di prova, mancata proroga ed illegittimità del licenziamento
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