Le norme di garanzia previste dall’art. 29 del D. Lgs. n. 276/2003 non trovano applicazione nei confronti dei contratti di appalto stipulati dagli Enti Pubblici, in ragione della presenza di una disciplina speciale incompatibile con quella prevista per gli appalti del settore privato.
Gennaro Ilias Vigliotti
L’art. 29, comma 2, del D. Lgs. n. 276/2003 stabilisce che, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di 2 anni massimi dalla cessazione del contratto, per i crediti afferenti i trattamenti retributivi e contributivi dei lavoratori addetti all’appalto.
La giurisprudenza si è a lungo interrogata circa l’applicabilità delle disposizioni in questione anche agli appalti pubblici, ovvero a quei contratti di opera, fornitura o servizi in cui l’appaltatore sia un’Amministrazione statale o locale.
Con la sentenza n. 15432 del 7 luglio 2014, la Corte di Cassazione ha statuito che, stante la formulazione dell’art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 276/2003 – a mente del quale “il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni ed il suo personale” – ed alla luce del richiamo del primo comma dell’art. 29, D.Lgs n. 276/2003 alle ipotesi di appalto “stipulato e regolamentato ai sensi dell’art. 1655 del codice civile”, l’operatività della responsabilità solidale prevista per gli appalti privati dall’art. 29 è esclusa per quelli in cui la stazione appaltante corrisponda ad un Ente pubblico.
Successivamente a tale pronuncia, però, alcune Corti territoriali avevano provato a disconoscere questa ricostruzione, evidenziando come ragioni di eguaglianza sostanziale tra lavoratori degli appalti privati e lavoratori di quelli pubblici imponevano una interpretazione più coerente del testo del D. Lgs. n. 276/2003, soprattutto con riferimento all’art. 29: in particolare, secondo una recente decisione della Corte d’Appello di Torino (sentenza 24 aprile 2015, n. 233), interpretando in senso restrittivo le norme sull’appalto, si finirebbe per attribuire alle Pubbliche Amministrazioni “una posizione di ingiustificato privilegio rispetto ai committenti privati”, creando una sostanziale “disparità di trattamento tra lavoratori sulla base della sola natura pubblica o privata dell’appaltante”.
Tale decisione è stata di recente cassata dalla Corte di Cassazione, la quale, nella sentenza n. 20327 del 10 ottobre 2016, ha confermato l’originaria impostazione già formulata nel 2014, evidenziando come, pur risultando apparentemente differenziati dai lavoratori degli appalti privati, in realtà i dipendenti delle società aggiudicatrici di appalti pubblici sono ampiamente tutelati dalle norme speciali che regolano i contratti di opere e servizi del settore pubblico: il D.P.R. n. 207/2010 e il D.Lgs. n. 163/2006 (oggi entrambi sostituiti dal recentissimo D.Lgs. n. 50/2016), infatti, obbligano le Amministrazioni ad una serie puntuale di adempimenti ed accertamenti in materia retributiva e contributiva, prima di affidare un lavoro, un’opera o un servizio ad un privato.
In particolare, queste norme richiedono di verificare la regolarità contributiva non solo in via preventiva, ma per tutta la durata dei lavori, sino al collaudo dell’opera; impongono di trattenere dal certificato di pagamento l’importo corrispondente alla inadempienza contributiva accertata; consentono l’intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di mancato pagamento delle retribuzioni, ove risulti vana la previa diffida ad adempiere notificata al datore di lavoro.
La differenziazione di disciplina tra appalti privati e pubblici con riferimento alla solidarietà tra appaltante ed appaltatore per i crediti di lavoro, dunque, non genera, ad opinione dei giudici di legittimità, alcuna discrasia di trattamento. Tale alterità di disciplina, inoltre, è radicata nei principi dell’ordinamento in materia di spesa pubblica: gli Enti Pubblici, infatti, sono tenuti a predeterminare le spese e, quindi, non possono sottoscrivere contratti che li espongano ad esborsi non previamente individuati e deliberati.