Le assenze del dipendente dovute allo shock per aver subito una rapina non sono computabili ai fini del periodo di comporto.

Nota a Cass. 28 ottobre 2016, n. 21901

Kevin Puntillo

È illegittimo il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, nel caso in cui le assenze per malattia, riconducibili ai postumi traumatici sofferti dal dipendente a seguito di una rapina subìta nei locali dell’azienda, siano imputabili a colpa del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.

Lo ha stabilito la Cassazione (28 ottobre 2016, n. 21901), che ha confermato quanto statuito dalla Corte di Appello, la quale aveva annullato il licenziamento intimato dalla ASL ad un dipendente per asserito superamento del periodo di comporto, condannandola alla reintegrazione nel posto di lavoro, ex art. 18 Stat. Lav., ed al risarcimento del danno patrimoniale (pari alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento fino alla reintegra nel posto di lavoro), nonché del danno biologico patito.

Il fatto traeva origine da un’aggressione notturna, subita da un dipendente del reparto di radiologia (ubicato nel seminterrato), ad opera di due individui mascherati che lo avevano assalito e malmenato, penetrati all’interno dell’ospedale – già oggetto di precedenti furti e rapine – da ingressi del tutto incustoditi, privi anche di normali misure atte a garantire l’impenetrabilità di estranei. Per di più, a seguito dell’accaduto, il dipendente riportava lesioni e postumi permanenti, tali da dover usufruire non solo dei giorni di malattia ma anche del successivo periodo massimo di aspettativa. Il che, secondo l’Azienda ospedaliera, legittimava il licenziamento per superamento del periodo di comporto.

Inoltre, benché fosse nota la pericolosità dei locali e la facilità di accesso da parte di terzi, risultava che l’ASL non aveva adottato alcuna misura idonea a scongiurare il ripetersi di fatti criminosi ed a tutelare l’incolumità del personale in servizio, soprattutto in orario di lavoro notturno.

Provata la nocività dell’ambiente di lavoro e la mancata adozione, da parte dell’Azienda, delle più basilari misure di sicurezza, la Corte di Cassazione ha riaffermato che «l’osservanza del generico obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., impone al datore di lavoro l’adozione delle correlative misure di sicurezza cd. “innominate”, sicché incombe sullo stesso, ai fini della prova liberatoria correlata alla quantificazione della diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle suindicate misure, l’onere di far risultare l’adozione di comportamenti specifici che, pur non dettati dalla legge o altra fonte equiparata, siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli “standards” di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe (Cass. n. 3424/2016, Cass. n. 15082/ 2014, Cass. n. 8855/2013). L’art. 2087 c.c. rende necessario l’apprestamento di adeguati mezzi di tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori nei confronti dell’attività criminosa di terzi nei casi in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione a scopo di lucro sia insita nella tipologia di attività esercitata, in ragione della movimentazione, anche contenuta, di somme di denaro, nonché delle plurime reiterazioni di rapine in un determinato arco temporale» (v. Cass. n. 3424/2016, cit., Cass. n. 23793/2015 e Cass. n. 7405/2015).

In relazione all’asserito superamento del periodo di comporto, la Cassazione, in linea con quanto già affermato dal giudice di merito, ha ritenuto che, nella carenza di adeguate misure di sicurezza apprestate dall’Azienda, le assenze dal lavoro verificatesi “fossero ascrivibili a colpa del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., e dunque non computabili ai fini del periodo di comporto”, il quale non si riteneva contrattualmente superato.

Assenza per trauma da rapina e licenziamento.
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