Quando la prestazione di lavoro è elementare e ripetitiva è necessario far ricorso ai criteri distintivi, sussidiari della subordinazione.
Nota a Cass. 8 novembre 2016, n. 22658
Rossella Rossi, Commercialista in Albinia (GR)
La natura subordinata di un rapporto di lavoro emerge quando si configura una “disponibilità del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all’attività di impresa (il principio è consolidato: fra le numerose decisioni, v. Cass. 19 aprile 2010 n. 9251; M. PERSIANI, Considerazioni sulla nozione e sulla funzione del contratto di lavoro subordinato, in Riv. it. dir. lav., 2010, I, 455; R. PESSI, Contributo allo studio della fattispecie lavoro subordinato, Milano, 1989). I giudici, inoltre, possono, in ragione della semplicità delle mansioni svolte dal dipendente, conferire rilievo preminente “agli indici complementari e sussidiari rappresentati dallo stabile inserimento della ricorrente nell’assetto organizzativo aziendale; dall’osservanza di un orario di lavoro; dalla mancanza di una sia pur minima struttura imprenditoriale riferibile alla lavoratrice; dall’utilizzo di macchinari ed attrezzature altrui”.
Il principio è stato enunciato dalla Cassazione (8 novembre 2016, n. 22658), confermando la sentenza della Corte d’Appello di Roma (22 dicembre 2009).
La Corte di Cassazione formula alcune importanti osservazioni circa gli indici fondamentali della subordinazione, rilevando che l’esistenza di tale vincolo deve essere apprezzata concretamente, con riguardo, cioè, alla specificità dell’incarico conferito al prestatore. E, laddove, per la peculiarità del rapporto, sia difficile individuare gli elementi “primari” che connotano il lavoro subordinato, “è legittimo ricorrere a criteri distintivi sussidiari, quali la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale, ovvero l’incidenza del rischio economico, l’osservanza di un orario, la forma di retribuzione, la continuità delle prestazioni” (v., per tutte, Cass. n. 9251/2010).
In particolare, secondo i giudici, “nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, oppure, all’opposto, nel caso di prestazioni lavorative dotate di notevole elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare, in quel particolare contesto, significativo per la qualificazione del rapporto di lavoro, ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autoorganizzazione in capo al prestatore” (v. Cass. 15 giugno 2009, n. 13858 e Cass. 16 agosto 2013, n. 19568).