Al lavoratore va riconosciuta l’intera anzianità contributiva annuale per i periodi di lavoro in regime di part-time verticale ciclico.
Nota a Cass. 10 novembre 2016, n. 22936
Flavia Durval
Con riguardo ai lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, secondo una recente sentenza della Cassazione (10 novembre 2016, n. 22936), non si possono escludere i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione (v. CGUE 10 giugno 2010, C-395-396/08, nonché Cass. nn. 23948 e 24647/2015 e 8565/2016).
Per i giudici, infatti, la questione del minimale contributivo (e in generale quella del numero dei contributi settimanali da accreditare ai dipendenti) per i lavoratori part time è “questione distinta dall’anzianità previdenziale tout court e dunque dalla relativa durata, anche ai fini previdenziali, dell’attività lavorativa”. Ciò che rileva non è rappresentato dal numero dei contributi da accreditare al lavoratore in regime di part-time, ma la possibilità che essi, quale che ne sia l’ammontare (determinato ex art. 7, D.L. n. 463/1983, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 638/1983), siano riproporzionati sull’intero anno cui si riferiscono, ancorché siano stati versati in relazione a prestazioni lavorative eseguite in una frazione di esso.
Tale possibilità costituisce una logica conseguenza del principio per cui, nel contratto a tempo parziale verticale, il rapporto di lavoro perdura anche nei periodi di sosta (in termini, Corte Cost. n. 121/2006). A conferma di questo assunto, infatti, la Cassazione ha rilevato che “ai lavoratori impiegati secondo tale regime di orario non spettano per i periodi di inattività né l’indennità di disoccupazione (Cass. S.U. n. 1732/2003), né l’indennità di malattia (Cass. n. 12087/2003), essendo quest’ultima correlata ad una perdita di retribuzione che, nel periodo di inattività, non è dovuta per definizione”.
Secondo i giudici, la stabilità e sicurezza retributiva assicurate al lavoratore dal rapporto di lavoro a tempo parziale verticale se, da una parte, impediscono di “considerare costituzionalmente obbligata una tutela previdenziale integrativa della retribuzione nei periodi di pausa della prestazione” (in tal senso, ancora, Corte Cost. n. 121/2006), “non è meno vero che ciò è logicamente possibile a condizione di interpretare l’art. 5, comma 11°, D.L. n. 276/1984 (secondo il quale, com’è noto, ai fini della determinazione del trattamento di pensione l’anzianità contributiva “inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale” va calcolata “proporzionalmente all’orario effettivamente svolto”) nel senso di ritenere che l’ammontare dei contributi determinato ex art. 7, D.L. n. 463/1983, debba essere riproporzionato sull’intero anno cui i contributi si riferiscono: diversamente, il lavoratore impiegato in regime di part-time verticale si troverebbe a fruire di un trattamento deteriore (costituzionalmente illegittimo ex art. 3 Cost.) rispetto al suo omologo a tempo pieno, dal momento che i periodi di interruzione della prestazione lavorativa, che pure non gli danno diritto ad alcuna prestazione previdenziale, non gli gioverebbero nemmeno ai fini dell’anzianità contributiva”.
Come noto, il D.Lgs. n. 81/2015 (c.d. jobs act), nel riformulare la disciplina sul lavoro a tempo parziale in una prospettiva di semplificazione dell’istituto, non ha riproposto la distinzione del part-time nelle sue tradizionali tipologie: part time orizzontale, verticale e misto. Tale suddivisione, peraltro, dovendo il contratto di lavoro indicare puntualmente gli estremi relativi alla durata ed alla collocazione temporale della prestazione, continuerà, verosimilmente, ad essere utilizzata nella prassi contrattuale individuale e collettiva, con l’assegnazione a ciascuna tipologia di lavoro a tempo parziale di differenti regimi (in linea con i modelli di organizzazione del lavoro e di utilizzo di prestazioni a orario ridotto nei contesti produttivi) [ v. D. CASAMASSA, Part time: nozione, forma e contenuto del contratto, in questo Blog].