Le nuove norme sono finalizzate a garantire una maggiore efficienza nell’attività di contrasto al fenomeno dello sfruttamento del lavoro
Michele Pappone
La nuova struttura del reato di caporalato” (rectius “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”) previsto dall’art. 603–bis c.p.(recentemente rinovellato dalla L. 29 ottobre 2016, n. 199, che ha rivisitato la fattispecie introdotta, nel 2011, nel titolo XII del Libro II, tra i delitti contro la persona e, in particolare, tra quelli contro la libertà individuale).
La norma si caratterizza per una fattispecie-base, applicabile in via sussidiaria ove non ricorra appunto un’ipotesi di reato più grave (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”) e si realizza nella condotta:
- “di chi recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori”;
- ovvero di chi utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante le suddette attività di intermediazioni, “sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”.
Rispetto alla previgente disposizione, viene punito, oltre all’intermediario, anche lo stesso datore di lavoro e non sono più richiesti, ai fini della configurabilità della fattispecie base, comportamenti violenti o minacciosi, i quali potranno integrare, invece, l’ipotesi aggravata di cui al 2°co. della disposizione citata. Per quanto attiene il profilo sanzionatorio, la fattispecie base è punita con la reclusione da 1 a 6 anni e la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, mentre, per le ipotesi violente e connotate da minaccia, è prevista la reclusione da 5 a 8 anni nonché la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
All’interno della stessa norma, inoltre, si è mantenuto fermo l’elenco delle figure sintomatiche di sfruttamento dei lavoratori, cui si aggiunge la “reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi […] territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale”.
Segue, altresì, la previsione di alcune circostanze aggravanti specifiche nonché di alcune circostanze attenuanti all’interno dei nuovi artt. 603-bis.2 e 603-bis.1 del codice penale.
Il reato di caporalato viene, inoltre, ricondotto tra i reati-presupposto che fanno sorgere responsabilità amministrativa in capo agli enti, ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. Nello specifico, la sanzione pecuniaria prevista si inserisce in una forbice edittale che va dalle 400 quote alle 1.000 quote (art. 25-quinquies), ove per ogni quota si intende l”importo minimo di 258 euro fino a un massimo di 1.549 euro”.
Sul piano processuale, ancora, la novella legislativa merita particolare interesse per le modifiche in tema di confisca allargata. Viene, infatti, prevista la misura della confisca obbligatoria del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, è titolare o abbia la disponibilità, a qualsiasi titolo, in valore sproporzionato al proprio reddito (dichiarato ai fini delle imposte sul reddito) o alla propria attività economica, nei casi di condanna o di pena patteggiata per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Per quanto concerne l’ambito cautelare, invece, è disposto l’arresto obbligatorio in fragranza nell’ipotesi “aggravata” d’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, nonché, quale misura cautelare di tipo reale, la possibilità di esperire il “controllo giudiziario dell’azienda” presso cui è stato commesso il reato, in pendenza di procedimento penale, qualora l’interruzione dell’attività imprenditoriale possa comportare ripercussioni negative sui livelli occupazionali o compromettere il valore economico del complesso aziendale.
La legge, infine, onde garantire alle vittime del reato di caporalato un’effettiva tutela di tipo riparatoria, non solo dispone l’assegnazione al Fondo anti-tratta dei proventi delle confische ordinate nei termini sopra indicati, bensì che una parte delle risorse del Fondo sia utilizzata anche per l’indennizzo delle vittime del reato di caporalato.
L’art. 603-bis. c. p. (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) recita:
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:
1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:
1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;
3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.
Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:
1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;
2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.
Ai sensi poi dell’art. 603-bis.2 c.p. (Confisca obbligatoria), inserito dall’art. 2, co. 1, L. n. 199/2016, si prevede che: “In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale per i delitti previsti dall’articolo 603-bis, è sempre obbligatoria, salvi i diritti della persona offesa alle restituzioni e al risarcimento del danno, la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato. Ove essa non sia possibile è disposta la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità, anche indirettamente o per interposta persona, per un valore corrispondente al prodotto, prezzo o profitto del reato.
L’art. 603-bis.1 c.p. (Circostanza attenuante), anch’esso inserito dall’art. 2, co. 1, L. n. 199/2016, dispone che: “Per i delitti previsti dall’articolo 603-bis, la pena è diminuita da un terzo a due terzi nei confronti di chi, nel rendere dichiarazioni su quanto a sua conoscenza, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti o per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite”.