La comunicazione della riduzione di personale agli enti amministrativi ed alle associazioni sindacali va inviata anche in caso di cessazione dell’attività
Nota a Cass. 22 novembre 2016, n. 23731
Fabio Iacobone
La disposizione che impone all’impresa di comunicare agli uffici regionali del lavoro ed alle organizzazioni sindacali il licenziamento collettivo per riduzione di personale si applica anche all’ipotesi di cessazione dell’attività produttiva ed azzeramento dell’intero organico.
Lo ha precisato la Cassazione (22 novembre 2016, n. 23731), chiarendo il significato dell’art. 4, co. 9, L. n. 223/1991, secondo cui: “Raggiunto l’accordo sindacale (ndr. circa l’eccedenza del personale) ovvero esaurita la procedura (ndr. per la riduzione di personale) di cui ai commi 6, 7 e 8, l’impresa ha facoltà di licenziare gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso. Entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi, l’elenco dei lavoratori licenziati, con l’indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’articolo 5, comma 1, deve essere comunicato per iscritto all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria di cui al comma 2”.
A giudizio della Corte, “alla stregua dell’orientamento assolutamente prevalente della giurisprudenza di legittimità”, il termine perentorio (e non ordinatorio) di “sette giorni dalla comunicazione dei recessi” opera in modo cogente anche nell’ipotesi di cessazione dell’attività. Ciò, in base all’art. 24, co. 2, L. n. 223/1991, secondo cui “Le disposizioni richiamate nei commi 1, 1-bis e 1-quinquies si applicano anche quando le imprese o i privati datori di lavoro non imprenditori, di cui ai medesimi commi, intendano cessare l’attività”.
La previsione dell’obbligo di comunicazione risponde, infatti, all’esigenza di assicurare agli organi amministrativi ed ai sindacati (nonché, per il tramite di questi, ai lavoratori) la possibilità di verificare la correttezza delle operazioni poste in essere dall’impresa e, nel caso di cessazione dell’attività aziendale, è finalizzato anche a consentire il controllo sindacale sull’effettività della scelta medesima “allo scopo di evitare elusioni del dettato normativo concernente i diritti dei lavoratori alla prosecuzione del rapporto nel caso in cui la cessazione dell’attività dissimuli la cessione dell’azienda o la ripresa dell’attività stessa sotto diversa denominazione o in diverso luogo” (v. Corte Cost. n. 6/1999 e Cass. n. 13207/2007).
La Cassazione ha poi rilevato che in seguito alla L. n. 92/2012 (art. 18, co. 7, terzo periodo – c.d. Riforma Fornero) le conseguenze delle violazioni procedurali sono meramente indennitarie (da 12 a 24 mensilità) e che l’art. 10, D.Lgs. n. 23/2015 ha ulteriormente inciso sulle conseguenze del mancato rispetto della norma in questione per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015. Infatti, la violazione delle procedure di licenziamento collettivo comporta per il datore di lavoro il pagamento di un indennizzo nella misura prevista come rimedio generale per il licenziamento illegittimo (ossia 2 mensilità per ogni anno di servizio, con il minimo di 4 e il massimo di 24).