Nota a Cass. 26 ottobre 2016, n. 21646
Flavia Durval
Il lavoratore subordinato può liberamente concordare una durata minima del rapporto stesso, che comporti, fuori dell’ipotesi di giusta causa di recesso di cui all’art. 2119 c.c., il risarcimento del danno a favore della parte non recedente conseguente al mancato rispetto del suddetto periodo minimo di durata.
Il principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione (26 ottobre 2016, n. 21646) con riguardo ad una fattispecie in cui era stato siglato un patto di stabilità mediante il quale entrambe le parti si impegnavano per un triennio a non recedere dal rapporto di lavoro, salvo il ricorrere di giusta causa.
La Corte ha cassato la sentenza di merito nella parte in cui i giudici avevano ritenuto che la ricorrente non avesse chiesto la riduzione della penale, eccessiva vuoi rispetto ai vantaggi retributivi netti che la stessa aveva tratto dal predetto patto reciproco di stabilità triennale (appena 12.472,43 euro), vuoi in relazione al tempo residuo di inottemperanza ad esso (sette mesi).
Nello specifico, essa ha rilevato che il lavoratore nel giudizio di appello aveva allegato circostanze rilevanti al fine di formulare il giudizio di manifesta eccessività della penale stessa (come, invece, negato dalla sentenza impugnata). Secondo la Corte, “tali circostanze emergevano dallo stesso tenore del patto di stabilità e dai rispettivi interessi deduttivi, dalle posizioni difensive delle parti e dalle loro qualità personali, dal raffronto tra le retribuzioni percepite nella vigenza del patto e l’importo della penale, nonché dallo scarto tra l’anticipato recesso della lavoratrice (sette mesi circa prima della scadenza del patto in discorso) e l’ammontare complessivo della penale medesima (pari a 110 milioni di lire)”.
Nel senso che la riduzione della clausola penale può essere chiesta anche in appello e, anzi, può essere disposta anche d’ufficio (cfr. Cass. n. 21297/11; Cass. n. 23273/10).