Licenziabile per giusta causa il dipendente della Agenzia delle Entrate che svolga privatamente attività di consulenza.
Alfonso Tagliamonte
Confermata la pronuncia di primo grado con la quale era stata respinta l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimato ad un dipendente della Agenzia delle Entrate, ritenendo provata e grave la “reiterata prestazione di opera di assistenza e consulenza fiscale e contabile pure remunerata… proprio sfruttando la sua veste di funzionario dell’Agenzia delle Entrate di Trieste” (App. Trieste 17 novembre 2011).
La decisione è della Cassazione (13 dicembre 2016, n. 25560), la quale ha poi rigettato il successivo ricorso, negando l’ammissibilità di una rivalutazione, in sede di legittimità, dell’apprezzamento (espresso correttamente dalla Corte territoriale) circa la riconducibilità della condotta all’ipotesi di cui all’art. 67, co. 5, sub d), del contratto collettivo applicabile al comparto “riferita alla commissione di fatti od atti che pur costituendo o meno illeciti in sede penale sono di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto”, vista la nozione legale di giusta causa, il D.Lgs. n. 300/1999, art. 71, e il D.P.R. n. 18/2002, art. 4, in tema di incompatibilità e conflitto di interessi del personale delle Agenzie fiscali.
Secondo la Corte, infatti, il giudizio di gravità e di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto unicamente al giudice di merito (con valutazione non censurabile in sede di legittimità), ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria (fra le altre, v. Cass. n. 8293/2012 e Cass. n. 7948/2011).
Né la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, può limitarsi ad invocare una diversa combinazione degli elementi alla base della giusta causa di licenziamento, “ovvero un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma deve piuttosto denunciare l’omesso esame di un fatto, ai fini del giudizio di proporzionalità, avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità” (v. Cass. n. 18715/2016 e Cass. n. 20817/2016).