Il contratto aziendale (c.d. di prossimità) può legittimamente modificare in pejus le modalità dell’orario e dei turni di lavoro.
Nota a Cass. 15 dicembre 2016, n. 25919
Kevin Puntillo
Alla scadenza del contratto collettivo, in difetto di una regola di ultrattività del contratto medesimo, la relativa disciplina non è più applicabile ed il rapporto di lavoro da questo in precedenza regolato resta disciplinato dalle norme di legge, ovvero dalla contrattazione aziendale c.d. di prossimità, delegata ad hoc. Secondo la Corte di Cassazione(15 dicembre 2016, n. 25919), cioè, i contratti collettivi di diritto comune, dal momento che costituiscono manifestazione dell’autonomia negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti. L’opposto principio di ultrattività sino ad un nuovo regolamento collettivo (ex art. 2074 c.c.) rappresenterebbe, infatti, un limite alla libera volontà delle organizzazioni sindacali, contrastando con la garanzia prevista dall’art. 39 Cost.
Nella fattispecie esaminata dalla Corte, un gruppo di autisti addetti al servizio urbano, lamentava che l’azienda aveva illegittimamente introdotto una tipologia di orario più gravoso ed iniquo, che aveva inciso sulla qualità e quantità del lavoro, determinando, altresì, un sensibile depauperamento della retribuzione. In particolare, i turni di servizio non si erano conformati alla media oraria giornaliera stabilita dal ccnl del 1976, ma oscillavano fra turni più lunghi, comprensivi di straordinario programmato, e turni molto brevi, anche di 4 ore, collocati il sabato e la domenica. I lavoratori lamentavano inoltre la programmazione mensile di numerose giornate di turno di scorta, destinate a coprire le sostituzioni degli agenti assenti, che comportava il comando in turno il giorno prima della prestazione, con evidente disagio per la programmazione della loro vita familiare e sociale.
Le ragioni a fondamento della pretesa dei lavoratori si basavano sull’assunto che il nuovo ccnl degli autoferrotranvieri, rinnovato in data 27 novembre 2000, aveva confermato l’orario settimanale quale media nel multiperiodo fissato in 17 settimane, lasciando invariate le precedenti disposizioni contrattuali nazionali che disciplinavano la quantità dell’orario secondo criteri differenziati per le diverse categorie di personale. Mentre, secondo i lavoratori sussisteva l’illegittimità dell’accordo aziendale del 2001, che aveva sancito il regime della conguagliabilità dell’orario di lavoro giornaliero, fino ad un massimo di 25 minuti giornalieri di straordinario, e fino ad un massimo di 1h 30′ giornalieri di sott’orario, incidendo, in pejus, sulla materia dell’orario di lavoro riservata in via esclusiva alla contrattazione nazionale.
La Corte di Cassazione, rigettando il ricorso dei lavoratori, accoglieva quanto statuito dalla Corte distrettuale, secondo cui, in virtù dell’evoluzione della disciplina dell’orario di lavoro e con il tenore della disposizione contrattuale collettiva nazionale, veniva delegata alla contrattazione aziendale c.d. di prossimità la definizione delle modalità di applicazione dell’orario settimanale sul periodo di 17 settimane, modulandolo in conformità alle esigenze di turnazione connesse alla peculiarità del servizio.
Pertanto, la Suprema Corte, non ritenendo il ccnl del 2000 peggiorativo, ribadiva il principio in base al quale “ nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni “in pejus” per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 c.c.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale”.