L’utilizzo improprio, da parte di un lavoratore, di una piattaforma telematica, “postando” su Facebook una propria fotografia con un’arma non svilisce automaticamente in modo drastico il rapporto fiduciario con il datore di lavoro.
Nota a Trib. Bergamo 14 settembre 2016, n. 132
Giovanni Piglialarmi
È eccessivo e sproporzionato rispetto all’addebito mosso il licenziamento per giusta causa di un lavoratore che posti su Facebook una propria foto con un’arma.
È quanto affermato dal Tribunale di Bergamo (14 settembre 2016, n. 132), che ha applicato il regime di cui all’art. 18, co. 5, L. n. 300/1970 (risoluzione del rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto) in una vicenda di un dipendente della Belp Corporate s.r.l., con mansioni di operaio addetto allo stampaggio ed inquadramento al livello H del CCNL Gomma Plastica, il quale aveva “postato”, sulla sua bacheca del social network facebook, una fotografia che lo ritraeva “abbracciato al fratello, Khara Bhatti, il quale sfoggiava su un tavolo un vistoso tatuaggio su un braccio molto robusto. Entrambi sono raffigurati con in mano una pistola ed, in particolare, il fratello la mostra al mondo con fare minaccioso; il ricorrente ha, invece, un atteggiamento meno esplicito, nel senso che le movenze del suo corpo non appaiono aggressive (come rilevato anche dal giudice della fase sommaria)”.
L’azienda, mediante lettera di contestazione (ex art. 7 Stat. Lav.), ha perciò confutato l’invio della fotografia che ritrae il lavoratore insieme ad un’altra persona mentre tiene in mano un’arma. La società ha precisato che “tale fotografia è stata da lei inviata ai dipendenti…. I fatti di cui sopra integrano gli estremi di un grave inadempimento agli obblighi contrattuali, alla policy aziendale nonché agli obblighi di correttezza e buona fede che devono animare ogni rapporto di lavoro oltre a ledere grandemente il vincolo di fiducia e pertanto, a titolo meramente cautelativo, con la presente disponiamo la Sua immediata sospensione dal servizio fino a nostra ulteriore comunicazione. Ci permettiamo sin d’ora di precisare che, purtroppo, in società nell’anno 2002 si è verificato un omicidio perpetrato da un dipendente e quindi non Le nascondiamo che quanto sopra ha suscitato in noi grave turbamento” (in effetti, nel 2002, l’azienda era stata interessata da un episodio delittuoso di innegabile impatto sulla vita lavorativa dei dipendenti e cioè dall’omicidio a sfondo sessuale di una giovane donna negli spogliatoi della ditta da parte di un dipendente).
Secondo i giudici, sulla scorta di quanto accaduto in passato, “il dipendente avrebbe dovuto agire, anche nell’espletamento di attività extra-lavorative, con maggior ponderazione, prestando di fatto attenzione alle possibili conseguenze”. Inoltre, pur ammettendo che la giusta causa di licenziamento comprende non solo “i gravi inadempimenti delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro e poste a carico del dipendente, bensì anche altri fatti che pur essendo estranei allo svolgimento del rapporto, incidano sullo stesso eliminando l’interesse del datore di lavoro alla prosecuzione, anche provvisoria, della collaborazione”, determinando una “lesione irrimediabile del vincolo di fiducia”, per giustificare il recesso è necessario che vi sia: “la sussistenza di un nesso eziologico tra i comportamenti sconvenienti e/o illeciti anche se non integrano alcun inadempimento degli obblighi contrattuali; la loro effettiva incidenza sul regolare funzionamento dell’organizzazione, ovvero sulla “attività produttiva”; una condotta di natura tale da far ritenere il dipendente inidoneo alla prosecuzione del rapporto, magari perché va ad incidere negativamente sull’immagine del datore di lavoro, in particolar modo se le caratteristiche, o le peculiarità della prestazione, richiedano un ampio margine di fiducia” (ex pluribus, Cass. 19 dicembre 2000, n. 15919).
In particolare, possono assumere rilevanza, quali condotte extra-lavorative, reati commessi dal prestatore di lavoro ma non nell’esercizio delle proprie mansioni o, anche, “un utilizzo improprio dei social e delle nuove tecnologie può essere rilevante in termini di responsabilità disciplinare del lavoratore”. Tuttavia, nel caso di specie, secondo i giudici, l’utilizzo improprio della piattaforma telematica non sembra svilire drasticamente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro non avendo ripercussioni di rilievo sulla prestazione lavorativa. Ciò, anche se il lavoratore, pubblicando e condividendo foto ed immagini su facebook, le ha inviate alla cerchia di amici della piattaforma sociale nonché ad un indeterminato numero di persone, essendo il suo un profilo aperto.
I giudici hanno peraltro rilevato che il post caricato sulla bacheca e non indirizzato specificamente ai dipendenti della società convenuta, non aveva scopo intimidatorio, e buona parte dei testi non erano neanche a conoscenza dell’invio, a dimostrazione del fatto che l’evento non ha creato sensi di ansia o timore nei dipendenti.
In sintesi, non si era trattato di un invio “individuale” e non si era provato “che la pubblicazione dell’immagine de quo abbia generato una collettiva preoccupazione o apprensione tra i dipendenti, né che la loro incolumità sul luogo di lavoro fosse effettivamente messa a repentaglio, ferma restando l’astratta potenzialità della stessa a creare incomprensioni che appunto giustificano l’azione disciplinare”.
In generale, v., in questo blog, G. PIGLIALARMI, Rapporto di lavoro e social network: ancora un caso di licenziamento per violazione dell’obbligo di diligenza e buona fede, Nota a Trib. Brescia 13 giugno 2016, n. 782; ID., Si selfie chi può!