Legittimo l’esposto del dipendente alla Procura della Repubblica ed al Ministro del lavoro con cui si critica il massiccio ricorso della società agli ammortizzatori sociali.

Nota a Cass. 17 gennaio 2017, n. 996

Maria Novella Bettini

In base al dovere di fedeltà, sancito dall’art. 2105 c. c. (ed in armonia con l’obbligo di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c. c.), il lavoratore deve astenersi, oltre che dai comportamenti espressamente vietati dalla norma (trattare affari in concorrenza con l’impresa e divulgare notizie sull’organizzazione ed i metodi di produzione dell’azienda ovvero farne uso recando ad essa pregiudizio), da quelli che “ per la loro natura e conseguenze, appaiono in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o creano situazione di conflitto con le finalità e gli interessi dell’impresa stessa o sono idonei, comunque, a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto stesso”.

Tale principio è stato espresso dalla Cassazione (17 gennaio 2017, n. 996; in conformità, v. Cass. 8 luglio 2009, n. 16000; Cass. 10 dicembre 2008, n. 29008 e Cass. 3 novembre 1995, n. 11437) in riferimento al caso di una dipendente licenziata per aver presentato, alla Procura della Repubblica e al Ministro del lavoro un esposto per criticare l’improprio ricorso dell’impresa alla CIGS e alla mobilità, malgrado l’impresa fosse in continua crescita.

La Corte, confermando la illegittimità del licenziamento, ha rimarcato che i fatti segnalati all’autorità giudiziaria con la critica, pur aspra, della lavoratrice “riecheggiavano il contenuto di quelli già divulgati dalla stampa e discussi nelle sedi istituzionali, traducendosi nella istanza di vaglio di una condizione di massiccio ricorso della società agli ammortizzatori sociali, pure a fronte di un andamento estremamente positivo della attività produttiva aziendale”.

In punto di diritto, la sentenza ribadisce il principio consolidato secondo cui l’esercizio del diritto di critica del lavoratore deve rispettare i principi di continenza sostanziale (i fatti narrati devo essere veritieri) e di continenza formale (i fatti devono essere esposti “misuratamente”). In particolare, con riguardo alla continenza formale, i giudici precisano che la necessaria osservanza “della correttezza e civiltà delle espressioni utilizzate, è attenuato dalla necessità… di esprimere le proprie opinioni e lapropria personale interpretazione dei fatti, anche con espressioni astrattamente offensive e soggettivamente sgradite alla persona cui sono riferite” (v. Cass. 2 giugno 1997, n. 5947). Nell’esercizio del diritto di critica del lavoratore è, in effetti, necessario ricercare “un bilanciamento dell’interesse che si assume leso con quello a che non siano introdotte limitazioni alla libera formazione del pensiero costituzionalmente garantito exart. 21”(Cass. 22 gennaio 1996, n. 465).

Nel senso che il contenuto della critica, pur se “macabra, forte, aspra e sarcastica”,deve essere espresso senza ledere il decoro e l’immagine del datore di lavoro, anche al fine di non provocargli un danno economico in termini di perdita di commesse e di occasioni di lavoro. V. Cass. 10 dicembre 2008, n. 29008 e Cass. 21 marzo 2016, n. 5523 (con nota di F. ALBINIANO, in questo Blog), che, nel caso sottoposto alla sua valutazione, ha rilevato l’oggettiva portata diffamatoria delle espressioni proferite e le modalità con cui gli insulti erano stati espressi, ovverossia dinanzi ad altri dipendenti ed in relazione ad una richiesta del tutto legittima, corroborata, altresì, dalla recidiva reiterata.

Il comportamento del lavoratore può costituire giusta causa di licenziamento, pur in mancanza degli elementi soggettivi ed oggettivi costitutivi della fattispecie penale della diffamazione quando rivolga all’impresa o ai suoi rappresentanti appellativi disonorevoli, con “riferimenti volgari e infamanti e di deformazioni tali da suscitare il disprezzo e il dileggio”, per App. Napoli 27 settembre 2016, con nota di C. AMBROSIO, in questo Blog (v. anche Cass. 24 maggio 2001, n. 7091).

In unafattispecie relativa ad un dipendente che aveva manifestato per iscritto il proprio dissenso nei confronti del superiore gerarchico, corredando la missiva di un parere pro veritate di avvocato penalista, Cass. 25 ottobre 2016, n. 21649 (con nota di  M. SANTUCCI, in questo Blog) ha puntualizzato che i fatti denunciati devono essere esposti in modo corretto e civile, evitando ogni diffusione esterna all’azienda (continenza formale) e devono corrispondere a verità (continenza sostanziale). Più specificamente, la critica va esercitata nel rispetto della verità oggettiva con modalità e termini tali da non ledere gratuitamente il decoro del datore di lavoro o del proprio superiore gerarchico e determinare un “pregiudizio per l’impresa” (in merito, v. ancheCass. 8 luglio 2009, n. 16000; Cass. 10 dicembre 2008, n. 29008).

 

Dovere di diligenza, interesse dell’impresa e diritto di critica.
Tag:                                     
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: