La risoluzione del rapporto di lavoro del dipendente “anziano” richiede una congrua motivazione anche a fronte di un previo atto organizzativo.
Gennaro Ilias Vigliotti
La facoltà attribuita dall’art. 72, co. 11, D. L. n. 112 del 2008 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2008, n. 133) alle Pubbliche Amministrazioni di poter risolvere il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi, nei casi di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, deve essere esercitata avendo riguardo alle complessive esigenze dell’Amministrazione,anche in difetto di adozione di un formale atto organizzativo, dunque motivando la scelta di sciogliere il vincolo di lavoro. Tale ricostruzione è fondata sui principi di buona fede e correttezza contrattuale, e su quelli di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione, che caratterizzano anche gli atti di natura negoziale posti in essere nell’ambito del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato. L’esercizio della facoltà richiede, quindi, idonea motivazione, poiché in tal modo è salvaguardato il controllo di legalità sull’appropriatezza della facoltà di risoluzione esercitata, rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguite nell’ambito di politiche del lavoro. Tale motivazionesi rende ancor più necessaria in mancanza di un atto generale di organizzazione perché costituisce il solo strumento di conoscenza e verifica delle ragioni organizzative che inducono l’Amministrazione ad adottare atti di risoluzione contrattuale. In mancanza, la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato viola le norme imperative che richiedono la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa (art. 5, co. 2, D.Lgs. n. 165 del 2001), l’applicazione dei criteri generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), e i principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., nonché l’art. 6, co.1, della direttiva 78/2000/CE.
Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione del23 gennaio 2017, n. 1706 in esito ad una puntuale ricostruzione del lungo iter intrapreso dal legislatore nella delicata materia del recesso unilaterale, attuato dalla Pubblica Amministrazione, al raggiungimento da parte del lavoratore di una congrua anzianità.
Nello specifico, la facoltà della PA di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi è stata disposta dal legislatore al raggiungimento da parte del dipendente della massima anzianità contributivadi 40 anni fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici(art. 72, co. 11). L’art. 72, co.11, è stato poi novellato dall’art. 6, co. 3, L. 4 marzo 2009, n. 15, che, modificandone il testo, ha sostituitoil requisito del compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni, con il requisito del compimento dell’anzianità massima di servizio di 40 anni.
Ambedue le formulazioni, si limitano a prevedere i rispettivi requisiti (massima anzianità contributiva, in un caso e massima anzianità di servizio, nell’altro) senza imporre ulteriori condizioni, quanto alla formazione della volontà negoziale dell’Amministrazione, e senza richiedere in modo espresso il rispetto dell’obbligo motivazionale. La determinazione di specifiche modalità applicative era stata, infatti, espressamente contemplata solo per il personale dei comparti sicurezza, difesa ed affari esteri, in ragione delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti.
Successivamente, l’art. 17, co 35-novies, D.L. 1 luglio 2009 n. 78,conv. dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, applicabile alla fattispecie esaminata dalla Corte,rationetemporis, aveva sostituito il co. 11, art. 72, facendo riferimento (per gli anni 2009, 2010, 2011) al requisito della massima anzianità contributiva; al preavviso; ed alla unilateralità del recesso collegato all’esercizio del potere di organizzazione esercitato ai sensi dell’art. 5, co. 2, del T.U., con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro. Sì è altresì prevista l’applicabilità della disciplina anche al personale dirigenziale. (l’adozione di specifici criteri e modalità applicative ha continuato ad essere prevista solo per i comparti sicurezza, difesa e affari esteri).
Le condizioni richieste per il recesso sono rimaste immutate fino all’intervento dell’art. 1, co. 5, del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, conv. con mod. dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, in ragione del quale il vigente art. 72, co.11, primo periodo, prevede che «con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, incluse le autorità indipendenti, possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento(…) risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un’età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale“.
La ricostruzione della disciplina è stata poi completata con il richiamo all’art. 16, co. 11, D.L. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con mod., dalla L. 15 luglio 2011, n.111, che, ha stabilito: «In tema di risoluzione del rapporto di lavoro l’esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni prevista dal comma 11 dell’articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, non necessita di ulteriore motivazione, qualora l’amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri di applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi dì controllo».
Le disposizioni in oggetto sono già state interpretate dalla Cassazione23 ottobre 2015, n. 21626 e 6 giugno 2016 n. 11595,con la quale, si è precisato che «se è chiaro che il requisito della adozione dell’atto generale organizzativo (sostitutivo dell’ulteriore motivazione) è frutto di scelta innovativa (…) altrettanto chiaro e condiviso è che l’obbligo motivazionale – solo de futuro sostituito dall’atto generale – sussisteva già a regolare l’originaria risoluzione di cui all’art. 72 comma 11 del d.l. del 2008” (sul punto, sia consentito il richiamo a G. I.VIGLIOTTI, Pubblico impiego: non basta l’anzianità contributiva per licenziare, in questo Blog).