Va escluso il demansionamento (con danno all’immagine) del lavoratore che, in ragione di un riassetto aziendale, subisca una contrazione dei compiti e del personale a lui sottoposto.
Silvia Rossi – Commercialista in Albinia (Gr.)
Non va reintegrato nelle mansioni precedenti il lavoratore che, in seguito ad una riorganizzazione aziendale, subisca una dequalificazione di tipi quantitativo delle proprie mansioni, con riduzione dei compiti e dei subalterni.
Il principio è stato affermato dalla Cassazione (2 dicembre 2016, n. 24683), la quale, confermando il giudizio di App.Roma 15 marzo 2010, ha negato il demansionamento di un lavoratore (dipendente del Fondo di Previdenza per i Dirigenti di Aziende Commerciali e di Spedizione e di Trasporto) e la conseguente richiesta di assegnazione alle mansioni precedenti o equivalenti e di risarcimento del danno per dequalificazione e danno all’immagine.
Nello specifico, la Corte territoriale aveva escluso la dequalificazione sostenuta dal lavoratore al fine di conservare le mansioni di responsabile degli uffici di gestione e manutenzione del patrimonio immobiliare e della qualifica di quadro in qualità di assistente, senza contrazione delle sue attività né riduzione del personale a lui sottoposto. Ciò, rilevando che: a) il preteso demansionamento era avvenuto a seguito di una “documentata (né contestata) legittima riorganizzazione aziendale, comportante un accorpamento delle funzioni in tre macroaree, per effetto di una drastica dismissione del patrimonio immobiliare”; b) doveva ritenersi giustificata la limitazione “quantitativa, non anche qualitativa, delle mansioni del lavoratore, senza perdita di professionalità né di immagine, per il mantenimento del livello di quadro e del relativo trattamento retributivo nell’insindacabile mutato assetto organizzativo aziendale; pure negando, infine, che egli fosse rimasto sostanzialmente inoperoso”.
Com’è noto, con la nuova formulazione dell’art. 2103 c.c., nell’ipotesi di mutamento degli assetti organizzativi incidente sulla posizione del lavoratore, il datore di lavoro può unilateralmente assegnare il dipendente “a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale” (co. 2); oppure può stipulare, presso l’ ITL e le Commissioni di certificazione (in questo caso il lavoratore ha facoltà di farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro), “accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita” (co. 6). Ulteriori ipotesi di assegnazione a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono poi essere previste dai contratti collettivi (co. 4).