Il lavoratore che trasmette il certificato di malattia durante le ferie muta il titolo dell’assenza. Il superamento del periodo di comporto legittima il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Francesca Albiniano
La certificazione di malattia relativa a giorni compresi nel periodo feriale, trasmessa dal lavoratore al datore di lavoro, vale come richiesta di modificazione del titolo dell’assenza, da ferie a malattia. Ciò, anche in assenza di una espressa comunicazione (scritta od orale) al riguardo, poiché in tale atto “è consegnata, in modo inequivoco, la volontà del soggetto di determinare l’effetto giuridico della conversione”.
È quanto affermato dalla Cassazione (10 gennaio 2017, n. 284), in linea con la pronunzia della Corte costituzionale che, con sentenza n. 616/1987, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 2109 c.c. nella parte in cui non prevede che la malattia insorta durante il periodo feriale ne sospenda il decorso.
I giudici hanno anche precisato che il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo e non ad un licenziamento disciplinare; così che “solo impropriamente, riguardo ad esso, si può parlare di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze di fatto relative alla causale e trattandosi di eventi, l’assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta. Ne consegue che il datore di lavoro non deve indicare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare un superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, come l’indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato” (così, Cass. n. 11092/2005; in conformità, Cass. n. 23312/2010 e Cass. n. 23920/2010).