Un fatto non tempestivamente contestato ex art. 7 L. n. 300/1970 non può che essere considerato come “insussistente” non possedendo l’idoneità ad essere verificato in giudizio.
Nota Cass. 31 gennaio 2017, n. 2513
Gennaro Ilias Vigliotti
La L. n. 92/2012 (c.d. “Riforma Fornero”) ha profondamente modificato l’art. 18 Stat. Lav. in materia di sanzioni per il licenziamento illegittimo. Tra le numerose novità introdotte dalle norme in analisi rileva il comma 6 dell’articolo succitato, secondo cui il licenziamento intimato in violazione della procedura prevista dall’art. 7 Stat. Lav. è sanzionato con un’indennità risarcitoria tra le 6 e le 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in base alla gravità dell’infrazione procedurale.
Dottrina e giurisprudenza si sono a lungo interrogate su questa disposizione, soprattutto con riferimento ai principi che regolano la procedura disciplinare, ed appunto previsti dall’art. 7 Stat. Lav. In particolare, la Corte di Cassazione si è di recente chiesta se la violazione del principio di tempestività della contestazione, riguardando direttamente il diritto di difesa del lavoratore interessato, e costituendo un essenziale presidio di legittimità dell’atto di recesso, possieda un valore superiore a quello attribuito ai tradizionali vizi procedurali, previsti appunto dal comma 6° dell’art. 18 Stat. Lav. (in particolare, si v. Cass. n. 14324/2015; Cass. 2902/2015; Cass. n. 23669/2014). Tuttavia, i giudici di legittimità, pur riconoscendo l’importanza essenziale del principio in commento, hanno escluso che la sua violazione possa condurre alla tutela reintegratoria, conseguentemente rifiutando l’assimilazione tra fatto tardivamente contestato e fatto insussistente, previsto dal comma 4° dell’art. 18 Stat. Lav.
Con la sentenza 31 gennaio 2017, n. 2513, la Suprema Corte di Cassazione è tornata sul tema dell’inquadramento sanzionatorio del licenziamento viziato da contestazione tardiva, stabilendo un principio di diritto che, allineandosi all’indirizzo recentemente emerso presso alcuni Tribunali di merito, supera in maniera decisa la tradizionale impostazione sostenuta negli ultimi anni dai giudici di legittimità: nello specifico, infatti, il provvedimento in commento ha statuito che “un fatto non tempestivamente contestato ex art. 7 L. n. 300/70 non può che essere considerato come “insussistente” non possedendo l’idoneità ad essere verificato in giudizio. Si tratta in realtà di una violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro a carattere radicale che, coinvolgendo il diritto di difesa del lavoratore, impedisce in radice che il Giudice accerti la sussistenza o meno del “fatto”, e quindi di valutarne la commissione effettiva, anche ai fini della scelta tra i vari regimi sanzionatori. Non essedo stato considerato idoneamente ex art. 7, il “fatto” è “tamquam non esset” e quindi “insussistente” ai sensi dell’art. 18 novellato. Sul piano letterale la norma parla di insussistenza del “fatto contestato” (quindi contestato regolarmente) e quindi, a maggior ragione, non può che riguardare anche l’ipotesi in cui il fatto sia stato contestato abnormemente e cioè in aperta violazione dell’art. 7”.
La controversia conosciuta dalla Corte aveva visto una dipendente di Poste Italiane ottenere la conversione del contratto a termine illegittimo in un contratto di lavoro a tempo indeterminato. L’azienda, però, non aveva disposto la riammissione in servizio presso la sede contrattuale di origine, bensì aveva intimato il trasferimento ad altra sede: la lavoratrice non aveva mai preso servizio e “Poste” aveva proceduto alla contestazione dell’assenza ingiustificata un anno dopo il giorno programmato per il rientro a lavoro, successivamente licenziando la dipendente.
Nel caso di specie, dunque, i giudici di legittimità hanno dovuto giudicare un caso di grave ed ingiustificato ritardo nella contestazione rispetto all’effettiva conoscenza della violazione: sarà interessante capire se il principio in esame verrà applicato dalla Cassazione anche nei casi di ritardo lieve, o se, invece, in tali ipotesi, sarà preferita la sanzione procedurale prevista dal comma 6° dell’art. 18.