Per la risarcibilità del danno biologico permanente rileva l’età della vittima al termine dell’invalidità temporanea. Ai fini del risarcimento del danno da compromissione della capacità lavorativa specifica, il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all’integrità psico-fisica va provato dal lavoratore. La liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa patito da un soggetto percettore di reddito da lavoro si calcola ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima, e non il triplo della pensione sociale.
Nota a Cass. 7 febbraio 2017, n. 3121
Kevin Puntillo
“Nella liquidazione del danno biologico permanente occorre far riferimento all’età della vittima non al momento del sinistro, ma a quello di cessazione dell’invalidità temporanea, perché solo a partire da tale momento, con il consolidamento dei postumi, quel danno può dirsi venuto ad esistenza”. Questo consolidato principio di diritto è stato riaffermato dalla Cassazione, con sentenza 7 febbraio 2017, n. 3121, in tema di valutazione e liquidazione del danno permanente.
La pronuncia trae origine da una domanda di risarcimento avanzata dalla vittima di un investimento, avverso la sentenza di appello che: a) confermando la decisione di primo grado, aveva liquidato il danno biologico permanente avendo riguardo al termine del periodo di inabilità temporanea e non alla data in cui si era verificato l’evento lesivo; b) non aveva riconosciuto il danno da compromissione della capacità lavorativa specifica.
Il principio espresso in sentenza è conforme a quello enunciato già qualche anno fa dalla Cassazione (Cass. n. 10303/2012), secondo cui “in tema di danno biologico, la cui liquidazione deve tenere conto della lesione dell’integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell’invalidità temporanea e di quella permanente, quest’ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l’individuo non abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi. Ne consegue che il danno biologico di natura permanente deve essere determinato soltanto dalla cessazione di quello temporaneo, giacché altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno”.
In merito, invece, al riconoscimento del risarcimento del danno da compromissione della capacità lavorativa specifica, l’orientamento consolidato dei giudici di legittimità ritiene che il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all’integrità psico-fisica non si riflette né automaticamente, né nella stessa misura, sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica.
Pertanto, al fine di consentire al giudice di procedere ad una liquidazione del danno patrimoniale futuro con criteri presuntivi (anche nei casi in cui la ricorrenza del danno medesimo risulti altamente probabile per l’elevata percentuale di invalidità permanente), grava sul danneggiato l’onere di “supportare la richiesta risarcitoria con elementi idonei alla prova del pregresso effettivo svolgimento di attività economica, ovvero del possesso di una qualificazione professionale acquisita e non ancora esercitata”.
Quanto alla liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa patito (nella fattispecie, in seguito ad un sinistro stradale) da un soggetto percettore di reddito da lavoro, essa deve avvenire “ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima, e non il triplo della pensione sociale. Il ricorso a tale ultimo criterio, ai sensi dell’art. 137 cod. ass., può essere consentito solo quando il giudice di merito accerti, con valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità, che la vittima al momento dell’infortunio godeva sì di un reddito, ma questo era talmente modesto o sporadico da rendere la vittima sostanzialmente equiparabile ad un disoccupato […]. Il che non si è verificato nel caso all’esame”.