Il professionista che svolga attività di consulenza aziendale e di elaborazione dei dati contabili e fiscali, professionalmente organizzata ed impostata in modo tale da produrre profitti, non può beneficiare degli sgravi contributivi di cui alla L. n. 448/98, art. 3, co.5.
Fulvia Rossi – Commercialista in Albinia – GR-
In relazione al titolare di uno studio di commercialista, la Corte di Appello di Lecce ha evidenziato che il professionista poteva godere del trattamento agevolato, ammettendo la possibilità di fuire degli sgravi contributivi “ex lege” n. 448/98, art. 3, co.5, non solo per le imprese aventi ad oggetto la produzione di beni, ma anche per quelle dirette alla produzione di servizi. Ciò, sul presupposto che lo studio “svolgeva attività di consulenza aziendale e di elaborazione dei dati contabili e fiscali, professionalmente organizzata ed impostata in modo tale da produrre profitti”.
La Corte di Cassazione (12 aprile 2017, n. 9382) ha però cassato la sentenza in esame, stabilendo che “in tema di sgravi contributivi, i benefici previsti dall’art. 44, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 – con cui è stato prorogato il regime introdotto con l’art. 3, comma 5, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 – si applicano, alla luce di una interpretazione letterale e teleologica, esclusivamente agli imprenditori, dovendosi escludere che l’agevolazione sia riconoscibile agli esercenti una libera professione (nella specie, la professione forense), atteso il richiamo, nel testo della norma, all’art. 3, comma 6, della legge del 1998, espressamente riferito alle sole imprese, e la finalità, che caratterizza entrambe le disposizioni, di promuovere l’occupazione nel Mezzogiorno, realtà carente nel settore dell’imprenditoria”. Tale previsione, peraltro, non è suscettibile di interpretazione estensiva od applicazione analogica “attesa l’esistenza di disposizioni per l’ordinario pagamento dei contributi e la natura eccezionale di una norma che, in presenza di determinate condizioni, esoneri specifici soggetti dal generale obbligo contributivo”. In caso contrario, si configurerebbe un contrasto con i vincoli in materia di aiuti di Stato imposti dalla Commissione europea ed affermati relativamente al citato art. 3, co. 5 e 6, L. n. 448/1998 (v. decisione SG (99) D/6511 del 10 agosto 1999), secondo cui la conformità della disciplina nazionale alla politica comunitaria in materia di occupazione si basa soltanto sull’espresso presupposto che il beneficio riguarda le imprese ( V. fra le altre, Cass. n. 16092 del 26.6.2013)”.
Nella stessa linea, la Cassazione (7 aprile 2010, n. 8257) aveva affermato che “in tema di sgravi contributivi, i benefici previsti dall’art. 3, comma 5, della legge n. 448 del 1998 sono applicabili, quanto ai datori di lavoro privati, esclusivamente agli imprenditori, dovendosi escludere l’applicabilità della norma anche a coloro che, pur avvalendosi di una struttura autonoma, esercitino una professione intellettuale, attesa la presenza di una serie di elementi, quali:
- l’espresso riferimento alle “imprese” contenuto nella rubrica della disposizione;
- l’esclusiva riferibilità della locuzione “a tutti i datori di lavoro privati” ai soli titolari di impresa, trattandosi di indicazione in stretta correlazione con l’espressione “e agli enti pubblici economici” contestualmente utilizzata;
- la testuale previsione della non cumulabilità degli sgravi ivi previsti con le agevolazioni riconosciute dall’art. 4, co. 1, L. n. 449/1997, per le sole “piccole e medie imprese”;
- l’espresso riferimento, nel successivo co. 6 (ai fini dell’applicazione delle suddette agevolazioni), all’impresa” che – senza assorbimento di preesistenti attività – realizzi un incremento del numero di dipendenti a tempo pieno ed indeterminato.
Più recentemente, la Corte ( 28 luglio 2016, n. 15688) ha precisato che “la concessione degli sgravi contributivi di cui all’art. 3, comma 6, della I. n. 448 del 1998, presuppone che il livello di occupazione raggiunto a seguito delle nuove assunzioni non subisca riduzioni nel periodo agevolato attesa la finalità della legge di favorirne l’incremento, sicché il venir meno di tale condizione determina l’integrale perdita del diritto al beneficio avendo la norma natura eccezionale, per cui, ove diversamente interpretata, si porrebbe in contrasto con i vincoli in materia di aiuti di Stato imposti dalla Commissione Europea.”