Ai fini del computo del preavviso di licenziamento, la Corte UE “salva” l’anzianità maturata dai dipendenti presso l’azienda cedente, anche qualora il recesso sia intimato dopo un anno dal trasferimento dell’ impresa al cessionario
Nota a Corte di Giustizia UE 6 aprile 2017, causa C-336/15
Francesco Belmonte
L’art. 3, Direttiva 12 marzo 2001, n. 2001/23/CE, “concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, dev’essere interpretato nel senso che … il cessionario deve includere, all’atto del licenziamento di un lavoratore ad oltre un anno dal trasferimento dell’impresa, nel calcolo dell’anzianità del lavoratore rilevante ai fini della determinazione del preavviso al medesimo spettante, l’anzianità da questi acquisita presso il cedente.”
A statuirlo è la Corte di Giustizia UE (6 aprile 2017, causa C-336/15), chiamata a pronunciarsi circa una questione pregiudiziale, sollevata da un Tribunale svedese (l’Arbetsdomstolen) in merito ad una controversia riguardante la mancata presa in considerazione, per il calcolo del periodo di preavviso, dell’anzianità di servizio acquisita da quattro dipendenti, prima del licenziamento.
In particolare, i lavoratori – in precedenza alle dipendenze di due differenti aziende; con età pari o superiore ai 55 anni e con anzianità lavorativa superiore ai 10 anni – venivano licenziati, per motivi economici dopo un anno dal trasferimento dell’impresa, dalla “nuova” società datrice (cessionaria), subentrata nella gestione dei rapporti di lavoro.
Tuttavia, all’atto del trasferimento, le aziende cedenti erano entrambe vincolate da contratti collettivi, in forza dei quali “qualora un dipendente, colpito dal licenziamento per motivi economici, abbia raggiunto, alla data del licenziamento, un’età tra i 55 e i 64 anni compiuti e abbia acquisito un’anzianità ininterrotta di 10 anni, la durata del termine di preavviso in caso di licenziamento è prorogata di sei mesi”.
Parimenti, il cessionario era sottoposto ad un contratto collettivo, il quale statuiva che, in caso di licenziamento economico, il prestatore “beneficiava di un termine di preavviso identico a quello previsto, alle stesse condizioni, dai contratti collettivi applicabili ai cedenti.”
Ciononostante, il cessionario intimava i licenziamenti senza concedere la proroga del termine di preavviso – prevista, invece, dai contratti collettivi -, sostenendo che i dipendenti non disponevano di un’anzianità lavorativa pari a 10 anni.
Il Giudice nazionale, investito della questione, ha sottoposto ai Giudici di Lussemburgo la seguente questione pregiudiziale: “Se sia compatibile con la direttiva 2001/23 il fatto che, ad oltre un anno dal trasferimento di uno stabilimento e con riguardo alla clausola contenuta in un contratto collettivo, applicabile nei confronti del cessionario, la quale subordini il beneficio della proroga del termine di preavviso in caso di licenziamento al possesso di una determinata anzianità di servizio ininterrotta presso un solo ed unico datore di lavoro, il cessionario medesimo non tenga conto dell’anzianità, maturata presso il cedente dai lavoratori trasferiti, laddove, in base al contratto collettivo vigente nei confronti del cedente stesso, contenente identica clausola, i lavoratori avrebbero avuto diritto a che l’anzianità ivi maturata venisse presa in considerazione”.
La citata direttiva, secondo la costante giurisprudenza comunitaria, “mira ad assicurare il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento d’imprenditore, permettendo loro di restare al servizio del nuovo datore di lavoro alle stesse condizioni di quelle pattuite con il cedente”.
A tal fine, garantisce, “nei limiti del possibile, la continuazione dei contratti o dei rapporti di lavoro, senza modificazioni, con il cessionario, per impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento”.
La Corte UE ha poi specificato, con successive pronunce che simili tutele non possono pregiudicare “un giusto equilibrio tra gli interessi dei lavoratori, da un lato, e quelli del cessionario, dall’altro”. Da ciò discende che, “il cessionario dev’essere in grado di procedere agli adeguamenti e ai cambiamenti necessari alla continuazione della propria attività” (v., Corte Giust. UE 11 settembre 2014, causa C-328/13; Corte Giust. UE 6 settembre 2011, causa C-108/10; Corte Giust. UE 27 novembre 2008, causa C‑396/07). Tuttavia, per quanto concerne il riconoscimento dell’anzianità lavorativa in caso di trasferimento di imprese, “ai fini della determinazione delle condizioni retributive dei lavoratori interessati dal trasferimento ai sensi della direttiva stessa”, i giudici hanno dichiarato che: “sebbene l’anzianità maturata presso il cedente non costituisca, di per sé, un diritto di cui i lavoratori trasferiti possano avvalersi nei confronti del cessionario, … essa serve….a determinare taluni diritti pecuniari dei lavoratori, che pertanto devono essere salvaguardati, in linea di principio, dal cessionario allo stesso modo del cedente” (cfr. Corte Giust. UE 6 settembre 2011, cit. e Corte Giust. CE 14 settembre 2000, causa, C‑343/98).
Quindi, “pur ricordando che il cessionario può modificare, per un motivo diverso dal trasferimento d’impresa e nei limiti in cui il diritto nazionale glielo consente, le condizioni di retribuzione in un senso sfavorevole ai lavoratori”, i Giudici di Lussemburgo hanno statuito che “ai fini del calcolo dei diritti di natura pecuniaria, il cessionario è tenuto a prendere in considerazione tutti gli anni di servizio effettuati dal personale trasferito nella misura in cui questo obbligo risulta dal rapporto di lavoro intercorrente tra il personale ed il cedente e conformemente alle modalità pattuite nell’ambito di detto rapporto”. Di conseguenza, ai fini del calcolo del preavviso, il cessionario deve considerare l’intera anzianità di servizio maturata dai dipendenti licenziati.