La cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni dovute a motivi di salute che rendono impossibile il reimpiego del lavoratore non dà titolo alla concessione della indennità di disoccupazione

 

Maria Novella Bettini

 

Il dipendente di un panificio che rassegni le proprie dimissioni per ragioni di salute, derivanti da allergia alle farine, non ha diritto a fruire dell’indennità di disoccupazione, oggi NASpI.

Al riguardo, la Corte territoriale (App. Firenze n. 176/2011) aveva ritenuto che la natura della patologia (asma bronchiale da allergia alle farine) rendeva evidente l’impossibilità di un utile reimpiego del lavoratore all’interno della panetteria presso cui il dipendente era impiegato; e, pertanto, (sulla base delle considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale n. 269/2002), secondo una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 34, co. 5 L. n. 448/1998, il lavoratore aveva diritto al trattamento di disoccupazione, essendo ininfluente la circostanza che le dimissioni non fossero state rassegnate per giusta causa conseguente alla condotta datoriale.

A) La Corte di Cassazione (18 maggio 2017, n. 12565), invece, ribadisce il proprio diverso orientamento (v. Cass. 17 dicembre 2008, n. 29841), rilevando anzitutto che la disciplina dell’indennità di disoccupazione (contenuta nell’art. 34, co. 5, L. n. 448 del 1998, c.d. legge finanziaria 1999) non risente delle recenti innovazioni in materia di trattamento di disoccupazione introdotte dalla L. n. 92 del 2012 e dal D.Lgs. n. 22 del 2015, attuativo della legge delega n. 183 del 2014 (d. Jobs Act).

Come noto, la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI) – disciplinata dal D.Lgs. n. 22/2015, come modificato dai D.Lgs. n. 148 e n. 150 del 2015 (Titolo I°, artt. 1-14) – è espressamente attribuita anche ai lavoratori che abbiano rassegnato le dimissioni per giusta causa (art. 3, co. 2, D.Lgs. n. 22/2015; INPS Circ. n. 94/2015). La previsione è in linea con la sentenza n. 269/2002 della Corte costituzionale che, nell’ipotesi di dimissioni per giusta causa, aveva affermato che l’indennità di disoccupazione spetta al lavoratore poiché la risoluzione del suo rapporto di lavoro deve essere imputata ad una condotta riferibile al datore di lavoro, sicché lo stato di disoccupazione che ne consegue non può essere qualificato come volontario (Cass. 28 maggio 2015, n. 11051).

B) In secondo luogo, la Corte (in contrasto con la decisione n. 1105/2015, assunta dalla Corte stessa, che ha ritenuto di poter ricondurre alla medesima ratio delle dimissioni per giusta causa le dimissioni motivate da ragioni di salute) osserva che la disposizione in commento (art. 34, co.5, L. n. 488/1998) prevede che la cessazione (successiva al 31 dicembre 1998) del rapporto di lavoro per dimissioni non dà titolo alla concessione della indennità di disoccupazione ordinaria, agricola e non agricola, con requisiti normali (ex D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, conv. con mod., dalla L. 6 aprile 1936, n. 1155, e successive modificazioni e integrazioni), e con requisiti ridotti (ai sensi del D.L. 21 marzo 1988, n. 86, conv. con mod., dalla L. 20 maggio 1988, n. 160, e successive modificazioni e integrazioni).

Ciò, in quanto (diversamente dal precedente art. 45 R.D.L. n. 1827 del 1935, conv. in L. n. 1155/1936, che aveva individuato per l’ erogazione dell’indennità la necessità di uno stato di disoccupazione involontaria), la L. n. 448/1998, al fine di porre un freno alla spesa pubblica ha ancorato la concessione del trattamento di disoccupazione “al requisito della necessaria dipendenza dello stato di bisogno del lavoratore da situazioni rigorosamente involontarie, indicando nelle dimissioni una condotta certamente ostativa all’erogazione, laddove in precedenza le dimissioni volontarie non erano state di ostacolo alla erogazione dell’indennità di disoccupazione ordinaria ex art. 73 R.D.L. n. 1827/1935, comportando solo una riduzione del periodo indennizzabile (v. Cass. n. 8970/1995)”. Il provvedimento ha perciò disegnato “un confine tra dimissioni scaturite da determinazioni del dipendente indipendenti da condotte datoriali o di terzi, certamente ostative alla erogazione del trattamento, e dimissioni … sostanzialmente involontarie perché determinate da condotte datoriali che rendevano obbligata la scelta del dipendente… all’interno delle quali hanno trovato ingresso le dimissioni rassegnate per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 cod. civ.”, in quanto esse comportano uno stato di disoccupazione involontaria.

Tale disoccupazione (involontaria) si verifica quando le dimissioni siano rassegnate in ragione della condotta di un altro soggetto, ovvero siano riconducibili ad una “causa insita in un difetto del rapporto di lavoro, così grave da impedirne la provvisoria esecuzione. Si fa riferimento… al fatto del datore di lavoro o al fatto del terzo, non già alla situazione soggettiva del lavoratore, la cui scelta, ancorché dettata da motivi di salute, rimane tuttavia volontaria”.

In questo quadro, l’erogazione dell’indennità di disoccupazione anche nel caso di dimissioni volontarie motivate da malattia finirebbe per orientare la prestazione medesima verso il soddisfacimento di bisogni diversi da quelli cui mira il trattamento dell’indennità in questione. Peraltro, l’ordinamento appresta altre e specifiche tutele al lavoratore che versa in stato di malattia o che si dimostri essere inidoneo definitivamente all’espletamento delle proprie mansioni.

Dimissioni per ragioni di salute e indennità di disoccupazione
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