È applicabile il disposto di cui all’art. 2112 c.c. solo nel caso in cui la cessione riguardi un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività di impresa, con autonomia funzionale di beni e strutture già esistenti al momento del trasferimento e, dunque, non solo teorica o potenziale
Nota a Cass. 19 gennaio 2017, n. 1316
Kevin Puntillo
Nella cessione del ramo di azienda (di cui all’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276/2003, art. 32), l’autonomia funzionale del ramo ceduto, quale elemento costitutivo della cessione stessa, consiste nella “capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti”.
Tale principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione, con sentenza 19 gennaio 2017, n. 1316, muovendo dal caso in cui una compagnia telefonica trasferiva ad altra società uno dei propri call center. In primo e secondo grado l’operazione veniva qualificata come cessione di ramo d’azienda, agli effetti dell’art. 2112 c.c., ma i dipendenti ceduti proponevano ricorso per cassazione, lamentando la mancanza dell’autonomia operativa degli addetti all’attività di assistenza al pubblico del call center.
Sul punto, la Corte ha affermato che “l’autonomia funzionale del ramo di azienda ceduto può non coincidere con la materialità dello stesso, ma comunque l’autonomia dell’entità ceduta deve essere obiettivamente apprezzabile, sia pure con possibili interventi integrativi imprenditoriali ad opera del cessionario, al fine di verificarne l’imprescindibile requisito comunitario della sua conservazione”.
Si vuole, infatti, “evitare che le parti imprenditoriali possano creare, in occasione della cessione, strutture produttive che, in realtà, costituirebbero l’oggetto di una forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un’entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità”.
Secondo la Cassazione, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, l’attività trasferita del call center esaminato non è un’attività economicamente organizzata, funzionalmente autonoma e debitamente strutturata e, soprattutto, la struttura produttiva ceduta non può ritenersi identica a quella preesistente. Anche sotto il profilo dell’autonomia operativa, va considerata la mancanza di autonomia nell’organizzazione del lavoro atteso che tutte le procedure operative, anche dettagliate, erano determinate a livello centrale, così come gli obiettivi da raggiungere, l’autorizzazione di spese per trasferte, rimborsi e cancelleria, nonché le regole comportamentali di base per il rapporto con il cliente, al punto che, in caso di necessità, gli interventi venivano passati ad altre strutture, interne o esterne alla società cedente.
Pertanto, non può ritenersi applicabile il disposto di cui all’art. 2112 c.c. perché non si verte in un’ipotesi di cessione di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività di impresa, con autonomia funzionale di beni e strutture già esistenti al momento del trasferimento. Manca, infatti, l’autosufficienza dell’articolazione aziendale trasferita, dimostrata dalla continua interazione necessaria per la realizzazione dell’attività ceduta, in continuo collegamento e sotto il controllo del cedente, con i programmi informatici necessari rimasti in proprietà esclusiva dell’impresa cedente e senza i quali non sarebbe stato possibile l’espletamento del servizio.
Di converso, è ipotizzabile che il caso in esame rilevi quale mera esternalizzazione di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza dei rapporti di lavoro ad un ramo di azienda già costituito.