Quando il recesso è antisindacale, i contributi sono dovuti anche in relazione al periodo successivo alla pronuncia giudiziale e precedente all’effettiva reintegrazione in servizio del lavoratore licenziato
Nota a Cass. 27 febbraio 2017, n. 4899
Francesco Belmonte
Il licenziamento nullo per motivi sindacali non è idoneo a determinare l’estinzione del rapporto di lavoro, con la conseguenza che permangono tutte le obbligazioni, incluse quelle contributive, spettanti al datore di lavoro. Pertanto, l’obbligo contributivo, a carico dell’azienda, “segue come conseguenza necessaria dell’acclarata persistenza del rapporto stesso”, indipendentemente dal fatto che il dipendente abbia impugnato il licenziamento e percepito la retribuzione nell’intervallo temporale tra il decreto del giudice (ex art. 28 Stat. Lav.) e la reintegrazione nel posto di lavoro.
A statuirlo è la Cassazione (27 febbraio 2017, n. 4899) in relazione al licenziamento per motivi sindacali di tre lavoratori, reintegrati dal Tribunale di Lodi.
Secondo i Giudici di legittimità, costituisce principio consolidato che: «il rapporto assicurativo e l’obbligo contributivo ad esso connesso, pur sorgendo con l’instaurarsi del rapporto di lavoro, sono del tutto autonomi e distinti, nel senso che l’obbligo contributivo del datore di lavoro verso l’istituto previdenziale sussiste indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d’opera siano stati in tutto o in parte soddisfatti”, dal momento che l’inciso con cui l’art. 12, L. 30 aprile 1969, n. 153, definisce la retribuzione imponibile (“tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro…”) va inteso in senso lato come “tutto ciò che ha diritto di ricevere” (cfr. Cass. n. 3630/1999).
Nei confronti dell’Inps, infatti, “la situazione di fatto che si determina a seguito di un licenziamento nullo che non sia stato seguito da alcuna messa in mora da parte del lavoratore è strutturalmente accostabile ad una sospensione unilaterale della prestazione lavorativa disposta dal datore di lavoro in carenza dei presupposti di legge che ne possono legittimare l’adozione, la quale, com’è noto, non determina il venir meno dell’obbligazione contributiva: stante la ricordata autonomia del rapporto previdenziale rispetto al rapporto di lavoro” (salvo le eccezioni previste da speciali disposizioni di legge, quali, ad es., l’art. 2, D.L. 23 giugno 1995, n. 244, conv. in L. 8 agosto 1995, n. 341, in materia di attività edilizia).
Quindi, la retribuzione, ai fini dell’art. 12, L. n. 153/69, «deve considerarsi “dovuta” in tutte le ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia in atto de iure, con esclusione dei casi in cui la prestazione lavorativa non viene resa per fatto imputabile al dipendente o per sospensione concordata (cfr. in termini, Cass. S.U. n. 15143/2007; nello stesso senso, ancorché con riguardo a ipotesi di CIG non autorizzata, v. Cass. nn. 25240/2014 e 15207/2010).»
Da ciò consegue che, poiché nel caso di specie la mancata prestazione lavorativa è riconducibile ad un inadempimento del datore di lavoro, l’obbligo contributivo permane anche se al dipendente non è stata corrisposta alcuna retribuzione.