Le dimissioni possono essere annullate per vizio della volontà solo quando la minaccia del licenziamento è ingiusta, ma in tal caso l’onere di fornire la prova dell’invalidità delle stesse grava sul lavoratore che propone l’azione di annullamento
Nota a Cass. 8 giugno 2017, n. 14321
Michela Santucci
Con sentenza 8 giugno 2017, n. 14321, la Cassazione chiarisce quando la minaccia del licenziamento per giusta causa costituisce motivo di annullamento delle dimissioni sottoscritte dal lavoratore.
Nel caso esaminato, il lavoratore aveva accettato lo scioglimento del rapporto con incentivo successivamente all’irrogazione di due sanzioni conservative e alla minaccia del licenziamento per giusta causa, salvo, poi, chiedere in giudizio l’annullamento delle dimissioni sul presupposto che il consenso era stato estorto.
I giudici territoriali avevano rigettato la domanda di annullamento sia perché il dipendente non aveva in alcun modo contestato gli addebiti censurati, sia perché tali condotte, in considerazione del ruolo ricoperto e della reiterazione e protrazione dell’atteggiamento negligente, erano tali da fondare la massima sanzione espulsiva.
La Corte di legittimità, confermando la statuizione di secondo grado, enuclea 5 fondamentali principi in tema di annullamento delle dimissioni del lavoratore per vizi del consenso.
- In primo luogo, si ammette la validità delle dimissioni sottoscritte dal dipendente per sottrarsi al licenziamento.
- In secondo luogo, si ribadisce che la violenza morale determina l’annullamento delle dimissioni solo in quanto prospettazione di un male (di per sé) ingiusto e non quale minaccia di far valere un diritto. Ne deriva che la minaccia del licenziamento non è causa di annullamento delle stesse ove si accerti l’esistenza del diritto del datore di lavoro allo scioglimento del rapporto per la sussistenza dei fatti addebitati.
- L’onere della prova circa l’invalidità delle dimissioni, in ossequio ai principi generali, grava sul lavoratore e non sull’azienda.
- Sono, inoltre, annullabili per vizio della volontà le dimissioni eterodeterminate dal comportamento datoriale che ingeneri nel lavoratore una falsa rappresentazione della realtà.
- Infine, la Cassazione esclude l’annullabilità delle dimissioni ai sensi dell’art. 2113 c.c., quale atto negoziale implicante la rinunzia a diritti indisponibili del lavoratore.
Come più volte statuito in sede di legittimità, infatti, le dimissioni costituiscono atto unilaterale recettizio, idoneo a spiegare i propri effetti nel momento in cui perviene a conoscenza del destinatario e indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo.
Proprio in quanto riferibili ad un diritto disponibile del lavoratore (lo scioglimento del rapporto), le dimissioni risultano normalmente sottratte all’ambito operativo dell’art. 2113 c.c. applicabile esclusivamente a dichiarazioni negoziali, a meno che le stesse non si collochino in un più ampio contesto negoziale in cui emerga lo stretto collegamento con diritti inderogabili.