L’incarico di amministratore unico può essere prestato gratuitamente
Nota a Cass. 21 giugno 2017, n. 15382
Flavia Durval
“L’amministratore di una società, con l’accettazione della carica, acquisisce il diritto ad essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli. Tale diritto, peraltro, è disponibile e può anche essere derogato da una clausola dello statuto della società, che condizioni lo stesso al conseguimento di utili, ovvero sancisca la gratuità dell’incarico”.
Il principio è stato affermato dalla Cassazione (21 giugno 2017, n. 15382), la quale, in continuità con il proprio consolidato orientamento (v. Cass. n. 243/1976), ha osservato che, dal momento che il compenso (ex art. 2389 c.c.) forma oggetto di un diritto avente natura disponibile, “resta indifferente la circostanza che l’Amministratore non rivesta la qualità di socio”.
Secondo i giudici, l’Amministratore, in quanto organo al quale sono affidati poteri di gestione della società, è vincolato a questa da un rapporto di tipo societario caratterizzato essenzialmente dalla c.d. immedesimazione organica. Sicché, è esclusa la sussistenza (anche) di un rapporto contrattuale il quale, qualora sia “per ipotesi ricostruibile come di prestazione d’opera in regime di c.d. parasubordinazione ex art. 409, n. 3 ,c.p.c. (contra peraltro la recente sentenza delle Sezioni Unite n. 1545 del 2017)”, non comporterebbe in ogni caso l’applicazione dell’art. 36 Cost., relativo al diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, la cui portata applicativa è limitata al lavoro subordinato; “e che, ove ricostruibile, ancora per ipotesi, come di lavoro professionale autonomo, non attribuirebbe, anche in questo caso, un diritto al compenso, l’onerosità non costituendo requisito indispensabile dell’attività prestata in tale forma, rispetto alla quale, per comune opinione, è perfettamente configurabile la gratuità” (Cass. n. 2769/2014).
Pertanto, anche se l’Amministratore di una società, con l’accettazione della carica, acquisisce il diritto a essere compensato per le prestazioni svolte, tale diritto può essere liberamente rinunciato dal professionista, oppure può essere derogato da una clausola dello statuto sociale, la quale potrebbe condizionare il diritto al pagamento del compenso al conseguimento di utili, oppure sancire la completa gratuità dell’incarico.
Non potendosi riconoscere all’Amministratore un diritto ex lege al compenso, essendo egli un organo della società cui sono affidati poteri gestori, i giudici hanno confermato la decisione di App. Roma 16 novembre 2011, n. 7242, a sua volta confermativa di Trib. Rieti, che avevano respinto il ricorso di un lavoratore, volto ad ottenere il pagamento di quanto dovutogli per lo svolgimento dell’attività, dapprima, di direttore amministrativo di una società e, successivamente, di Amministratore unico della medesima società.
I giudici avevano rilevato che il diritto dell’Amministratore al compenso è disponibile e può anche essere derogato da una clausola dello statuto della società che stabilisca, come era avvenuto nel caso di specie, la gratuità dell’incarico.
Quanto alla decisione delle S.U (n. 1545/2017), sopra richiamata (non in linea con la sentenza in commento), la Cassazione ha stabilito che il rapporto di lavoro che intercorre tra amministratori e società non può essere considerato un rapporto parasubordinato ma “un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dal n. 3 dell’art. 409 c.p.c.”.
Come noto, l’assetto dei rapporti lavorativi che legano le società e i loro consiglieri di amministrazione, in difetto di una disciplina normativa, era stato colmato dalla giurisprudenza di legittimità che aveva qualificato il rapporto come attività «continua, coordinata e prevalentemente personale» (v. Cass. S.U. n. 10680/1994). La riconduzione del rapporto tra Amministratore e società nell’alveo del lavoro c.d. “parasubordinato” è stata poi confermata dall’art. 2, co.1 e 2, lett. c), D. Lgs. n. 81/2015, il quale annovera tra le collaborazioni organizzate dal committente le “attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni”.
Le S.U della Cassazione, tuttavia, (mutando il proprio orientamento) hanno affermato che tra Amministratore e società intercorre solamente un rapporto di tipo societario non compreso in quelli previsti dal n. 3 dell’art. 409 c.p.c.
(In tema, v., in questo sito, G. I. VIGLIOTTI, La natura giuridica del rapporto di lavoro degli amministratori di società di capitali, Monotema n. 3/2017).