È esclusa una nozione elastica delle comunicazioni previste dalla disciplina sui licenziamenti collettivi per riduzione di personale
Nota a Cass. ord. 30 giugno 2017, n. 16295
Annarita Lardaro
Una volta raggiunto l’accordo sindacale, ovvero esaurita la relativa procedura, prevista per la legittima intimazione dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale, “l’impresa ha facoltà di licenziare gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso. Entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi, l’elenco dei lavoratori licenziati, con l’indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’articolo 5, comma 1, deve essere comunicato per iscritto all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria di cui al comma 2” (art. 4, co. 9, L. 23 luglio 1991, n. 223).
In relazione a questa statuizione, la Corte di Cassazione (ord. 30 giugno 2017, n. 16295) ha ribadito l’importanza “decisiva” della suddetta comunicazione ai fini del controllo dei poteri datoriali, specificando che la comunicazione ai soggetti “esterni” indicati dalla disposizione in esame svolge la “necessaria funzione di manifestare le ragioni delle scelte dell’imprenditore in quanto rilevanti in una dimensione collettiva, e non apprezzabili nell’ambito del singolo rapporto di lavoro; solo in questa dimensione è possibile un’effettiva verifica del rispetto dei criteri di scelta”.
La Corte ha altresì sottolineato la diversità di contenuto e di finalità delle due comunicazioni previste dal co. 9 dell’art. 4, elemento questo che “esclude che l’una possa rendere superflua l’altra”. In proposito, v. Cass. 8 marzo 2006, n. 4970, secondo cui: “Il tenore letterale, nonché la ratio dell’art. 4, co. 9, della legge n. 223/1991 conducono a ritenere che la prima comunicazione (al singolo lavoratore) e la seconda (agli Uffici del lavoro e alle associazioni di categoria) hanno contenuto e finalità differenti. In particolare, la prima comunicazione – da redigersi in forma scritta – deve contenere solo la notizia del recesso, senza la necessità di alcuna motivazione; la comunicazione all’Ufficio del lavoro, invece, deve includere anche i dati relativi all’elenco dei lavoratori collocati in mobilità, con l’indicazione per ciascun soggetto del nome, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia, nonché la puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta”.
La comunicazione dei criteri di scelta dei dipendenti da licenziare e delle relative modalità applicative, anche se non inoltrata ai lavoratori personalmente, consente loro di verificare la legittimità del recesso e, quindi, di valutare l’opportunità, o meno, di impugnarlo, “risultando del resto cristallizzate le ragioni della scelta a sé sfavorevole, con significativi effetti di tutela non dissimili da quelli svolti dalla contestazione dell’addebito nel licenziamento disciplinare e della comunicazione dei motivi del licenziamento individuale in regime di stabilità del rapporto” (v. Cass.. n. 2701/1999).
I giudici escludono, pertanto, una nozione elastica della suddetta comunicazione (l’indirizzo è consolidato; v., da ultimo, Cass. 5 febbraio 2016, n. 2322; Cass. 4 febbraio 2016, n. 2206; Cass. 8 gennaio 2016, n. 157; Cass. 28 ottobre 2015, n. 22024, e gli ampi richiami ivi), stante l’esigenza di rendere visibile e, quindi, controllabile dalle associazioni di categoria, oltre che dagli uffici pubblici competenti, la corretta applicazione della procedura, con riferimento ai criteri di scelta seguiti ai fini della collocazione in mobilità, quale indispensabile presupposto per la tutela giurisdizionale riconosciuta al singolo dipendente. Ragionando diversamente, risulterebbe contraddetta la funzione di garanzia dei lavoratori licenziati attribuita alle comunicazioni da inviare alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro.