Per calcolare la retribuzione del lavoratore part time è necessario utilizzare il medesimo dato-base con il quale viene calcolata la retribuzione del lavoro a tempo pieno
Nota a Cass. 2 agosto 2017, n. 19269
Silvia Rossi – Commercialista in Albinia (Gr.) –
L’importo della retribuzione mensile prevista per il lavoro full time deve essere riproporzionato in ragione del ridotto impegno del lavoratore part time, e che la determinazione finale della percentuale di retribuzione mensile dovuta al lavoratore part time non può basarsi su dati e criteri di calcolo del tutto eterogenei rispetto a quelli previsti nel contratto collettivo per il full time, in quanto tale opzione costituisce di per sé ragione di discriminazione. Il proporzionamento, infatti, non può prescindere dalla applicazione degli stessi principi previsti per la retribuzione del lavoro full time.
Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione (2 agosto 2017, n. 19269), secondo cui se nel lavoro a tempo pieno “il dato base del contratto collettivo è quello mensile (calcolato sul dato convenzionale di 26 giorni lavorativi) e la retribuzione oraria viene calcolata su un orario mensile teorico di 156 ore, anche nel lavoro part time la base di computo deve essere la mensilità e la retribuzione di un’ora di lavoro deve essere calcolata sul dato teorico e non sulle ore effettive di lavoro nel mese”.
Ragionando diversamente si determinerebbe, infatti, un trattamento retributivo contrario al principio di non discriminazione, il quale comporta che il lavoratore a tempo parziale benefici dei medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile anche per quanto concerne l’importo della retribuzione oraria (v. Cass. 23 settembre 2016, n. 18709, in motivazione).
Nel metodo di calcolo proposto dalla società, invece, la retribuzione oraria del lavoratore part time variava di mese in mese, “assumendosi a base del calcolo il cd. «peso effettivo orario» cioè il rapporto tra l’orario teorico di 156 ore mensili e le ore di lavoro previste in ciascun mese dell’anno in base al numero dei giorni di calendario”; ed anche il calcolo mensile della retribuzione restava “ulteriormente legato al prodotto del suddetto «peso effettivo orario» per le ore di lavoro svolte nel mese dal lavoratore part time”. Metodo, questo, che non trovava corrispondenza nel calcolo della retribuzione per il full time, che avveniva su base mensile e non sulla base delle ore di lavoro svolte.
La Corte, quindi, conferma la sentenza di merito per la quale il principio di non discriminazione del lavoratore part time, di cui all’art. 4, D.Lgs. n. 61/2000 (vigente ratione temporis), imponeva di utilizzare per calcolare la retribuzione del lavoratore part time il medesimo dato-base con il quale era calcolata la retribuzione del lavoro a tempo pieno e che, dal momento che la retribuzione del lavoro a tempo pieno, a tenore del CCNL, prescindeva dal rigore ricostruttivo dell’orario, occorreva procedere analogamente per riproporzionare la retribuzione del lavoro part time, assumendo come base di computo il dato mensile e non già quello orario.
Come noto, in attuazione della direttiva comunitaria n. 81/1997, l’art. 7, D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, prevede un principio di parità di trattamento del lavoratore a tempo parziale rispetto a quello del lavoratore a tempo pieno inquadrato nello stesso livello (c.d. lavoratore comparabile). L’applicazione del principio pro rata temporis, previsto dalla direttiva comunitaria, comporta poi il proporzionamento alla ridotta durata della prestazione dell’importo della retribuzione e di ogni trattamento economico (art. 7, co. 2).
Ai sensi di tale disposizione (art. 7): “1. Il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento.
2. Il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile ed il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. I contratti collettivi possono modulare la durata del periodo di prova, del periodo di preavviso in caso di licenziamento o dimissioni e quella del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia ed infortunio in relazione all’articolazione dell’orario di lavoro”.
Diversamente, secondo la passata disciplina (art. 4, D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, ora abrogato dall’art. 55, co. 1, lett. a), D.Lgs. n. 81/2015): “1. Fermi restando i divieti di discriminazione diretta ed indiretta previsti dalla legislazione vigente, il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, intendendosi per tale quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi di cui all’art. 1, comma 3, per il solo motivo di lavorare a tempo parziale.
L’applicazione del principio di non discriminazione comporta che:
a) il lavoratore a tempo parziale benefici dei medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione oraria; la durata del periodo di prova e delle ferie annuali; la durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità; la durata del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia, infortuni sul lavoro, malattie professionali; l’applicazione delle norme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro; l’accesso ad iniziative di formazione professionale organizzate dal datore di lavoro; l’accesso ai servizi sociali aziendali; i criteri di calcolo delle competenze indirette e differite previsti dai contratti collettivi di lavoro; i diritti sindacali, ivi compresi quelli di cui al titolo III della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni. I contratti collettivi di cui all’art. 1, comma 3, possono provvedere a modulare la durata del periodo di prova e quella del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia qualora l’assunzione avvenga con contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale;
b) il trattamento del lavoratore a tempo parziale sia riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa; l’importo della retribuzione feriale; l’importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità. Resta ferma la facoltà per il contratto individuale di lavoro e per i contratti collettivi, di cui all’art. 1, comma 3, di prevedere che la corresponsione ai lavoratori a tempo parziale di emolumenti retributivi, in particolare a carattere variabile, sia effettuata in misura più che proporzionale”.