Nota a Trib. Catania, ord. 27 giugno 2017

Giovanni Piglialarmi

Con ordinanza del 27 giugno 2017, il Tribunale di Catania ha ritenuto legittimo il licenziamento comunicato al lavoratore tramite l’utilizzo di Whatsapp, il social di ultima generazione della messaggistica istantanea. Il giudice ha ritenuto nel caso di specie che sussistessero i requisiti della forma scritta prescritta dalla legge ai fini della legittimità della comunicazione e, quindi, della produzione dei suoi effetti (v. art. 2, L. n. 604/1966).

Il Tribunale anzitutto osserva che “il recesso intimato mezzo “whatsapp” (…) appare infatti assolvere l’onere della forma scritta (…), trattandosi di documento informatico che parte ricorrente ha con certezza imputato al datore di lavoro, tanto da provvedere a formulare tempestiva impugnazione stragiudiziale in data (…)”. Dunque, il messaggio contenente la comunicazione dell’avvento licenziamento assolverebbe pienamente l’onere della forma scritta in quanto documento informatico dattiloscritto, impugnato inoltre dalla parte ricorrente. Per giustificare la decisione, l’organo giudicante richiama l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità secondo cui “in tema di forma scritta del licenziamento prescritta a pena di inefficacia, non sussiste per il datore di lavoro l’onere di adoperare formule sacramentali, potendo la volontà di licenziare essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purché chiara  (v. Cass. 13 agosto 2007, n. 17652, ove è stata ritenuta corretta la decisione del giudice di merito, secondo cui la consegna del libretto di lavoro da parte della società con l’indicazione della data di cessazione del rapporto deve essere considerato atto formato di recesso; in tal senso, v. anche Cass. 18 marzo 2009, n. 6553)”.
La pronuncia in esame conferma un indirizzo della giurisprudenza di merito sviluppatosi con l’emergere delle nuove tecnologie (v. sul punto, in questo sito, G. Ilias Vigliotti, L’atto di recesso comunicato tramite messaggio telefonico è da equipararsi a quello irrogato tramite telegramma o posta elettronica e, in quanto tale, deve ritenersi dotato della necessaria forma scritta, Nota a  App. Firenze 5 luglio 2016, n. 629).
Un ulteriore aspetto affrontato dall’ordinanza è quello relativo alla sottoscrizione dell’atto di licenziamento. Nel caso di specie, la parte ricorrente (il lavoratore) eccepiva che il messaggio “non sarebbe stato sottoscritto dal datore di lavoro, ma da soggetto terzo (nella fattispecie, il direttore tecnico)”. Il giudice respinge l’eccezione motivando che “la disciplina dettata dall’art. 1399 c.c. – che prevede la possibilità di ratifica con effetto retroattivo, ma con salvezza dei diritti dei terzi, del contratto concluso dal soggetto privo del potere di rappresentanza – è applicabile, in virtù dell’art. 1324 c.c., anche a negozi unilaterali come il licenziamento. Pertanto la dichiarazione di recesso proveniente da un organo della società datrice di lavoro sfornito del potere di rappresentanza della medesima può essere efficacemente ratificata dall’organo rappresentativo della società anche in sede di costituzione in giudizio per resistere all’impugnativa del licenziamento proposta dal lavoratore che deduca il detto difetto di rappresentanza, non potendo il lavoratore essere compreso fra quei terzi di cui il comma 2 dell’art. 1399 fa salvi i diritti” (App. Milano 28 giugno 2002; Cass. 5 aprile 1990, n. 2824)”.
La decisione in commento non è stata, tuttavia, esente da critiche, poiché non ha affrontato alcuni aspetti importanti delle problematiche che possono sorgere intorno alle nuove tecnologie della comunicazione. Per un verso, c’è chi ha osservato come il licenziamento, qualificandosi come atto unilaterale recettizio, soggiaccia alle regole previste dagli artt. 1334 e 1335 c.c. Quindi, l’atto per produrre effetti deve giungere all’indirizzo del destinatario, ovvero presso il domicilio fisico del destinatario. Questa critica è superabile poiché la recente giurisprudenza di legittimità ha osservato che la nozione di “indirizzo” può identificarsi anche con qualsiasi luogo che, inserito nella sfera di dominio del destinatario, è idoneo a consentire la ricezione dell’atto e di conseguenza la conoscenza del suo contenuto (cfr. Cass. 13 dicembre 2000, n. 15696; sul punto v. anche M. Azzurro, Il Tribunale di Catania sancisce la legittimità del licenziamento tramite whatsapp: il commento di Legalitex, in Il Sole 24 ore, 25 luglio 2017). Un’ulteriore critica è stata avanzata considerato che nella messaggistica istantanea non v’è alcuna sottoscrizione del mittente ( v. P. Salazar, E’ possibile il licenziamento via WhatsApp?, in Il Quotidiano Giuridico, 20 luglio 2017).

Due “spunte” e sei licenziato: il recesso dal rapporto di lavoro è possibile anche tramite Whatsapp
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