Il dipendente pubblico assunto a tempo determinato senza contratto scritto può chiedere al Giudice il risarcimento del danno per l’illegittimo comportamento dell’Amministrazione
Nota a Cass. 11 settembre 2017, n. 21065
Gennaro Ilias Vigliotti
Il lavoratore pubblico a termine, il quale voglia contestare la violazione delle norme che regolano lo svolgimento della prestazione a tempo determinato alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, non può chiedere al giudice la conversione del proprio rapporto a termine in un rapporto a tempo indeterminato. Ciò, perché, come confermato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (v., da ultimo, la giurisprudenza precedente, annotata da Soluzioni Lavoro a questo link), l’art. 36, D. Lgs. n. 165/2001 (c.d. Testo Unico del Pubblico Impiego), prevede, al co.5, che “In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative”. In caso di contratto a termine illegittimo, dunque, in favore del dipendente pubblico residua solo una tutela di tipo risarcitorio, che la giurisprudenza di legittimità, confortata dall’indirizzo della Corte di Giustizia UE, ha parificato, sotto l’aspetto quantitativo, alla sanzione prevista per il settore privato dall’art. 32 L. n. 183/2010 (c.d. “Collegato Lavoro”), consistente in una indennità contenuta tra 2,5 e 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
I principi in commento sono stati di recente ribaditi dalla sentenza n. 21065 dell’11 settembre 2017, con la quale la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha conosciuto della controversia sorta tra un Ordine degli Avvocati ed una lavoratrice, assunta a termine in sostituzione di altra dipendente e senza la firma di alcun contratto di lavoro.
L’Ordine Professionale (parificato ad un Ente pubblico non economico per consolidata giurisprudenza, v. Cass. S.U. n. 6534/2008), opponendosi alle sentenze di merito che avevano riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in favore della ricorrente, ha sostenuto dinanzi alla Corte Suprema che, in assenza di forma scritta, il contratto doveva essere qualificato come nullo, con la conseguente esclusione di qualsivoglia tutela prevista per i contratti a termine illegittimi, ma con la sola possibilità di applicare l’art. 2126 c. c., il quale garantisce, nei casi di contratti invalidi, il pagamento della retribuzione spettante per l’attività effettivamente prestata. Il rapporto a termine, dunque, si era svolto solo nei fatti, con la conseguenza di escludere ogni sanzione, dettata dalla legge solo per contratti giuridicamente esistenti.
La Corte di Cassazione, rigettando la prospettazione dell’Ente, ha affermato che l’art. 36 del Testo Unico, nella parte in cui prevede il necessario ristoro del danno nei casi di violazione delle norme imperative in materia di contratti di lavoro pubblici, non può che riferirsi anche alla violazione delle regole che impongono la forma scritta per tali accordi. Nulla esclude, dunque, che anche l’assenza della forma imposta per il contratto possa far scattare le tutele predisposte dal legislatore, dato che l’esigenza primaria dell’art. 36 è quella di “ripristinare il potere della legge sull’autonomia dei contraenti riguardo all’uso generalizzato e tassativo delle formalità prescritte per il reclutamento del personale, là dove il datore è un Ente Pubblico, anche da esigenze di trasparenza gestionale e contabile”. Violare la forma scritta per un contratto a termine pubblico, dunque, è già essa stessa una violazione sufficiente per l’applicazione delle tutele risarcitorie previste per tali ipotesi dalla normativa di settore.