E’ giustificato il licenziamento del dirigente causato da una non arbitraria né pretestuosa riorganizzazione aziendale

Nota a Cass. 24 luglio 2017, n. 18188

Maria Novella Bettini

La materia del licenziamento del dirigente non è soggetta alle norme limitative dei licenziamenti individuali previste dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, fatta eccezione per la forma scritta (art. 2, co.1) e per il trattamento di fine rapporto (art.9), in quanto non vi è coincidenza fra la nozione di “giustificatezza”, posta dalla contrattazione collettiva come condizione di legittimità del licenziamento del dirigente, e quella di giustificato motivo contemplata dall’art. 3, L. n. 604/1966 (v. Cass. 15 luglio 2009, n. 16499 e Cass. 20 dicembre 2006, n. 27197). Al dirigente licenziato spetta, pertanto, l’indennità supplementare prevista dall’ art. 19 del ccnl dei dirigenti di aziende industriali, soltanto nei casi in cui il recesso non sia assistito da giustificatezza, la quale “può fondarsi sia su ragioni soggettive ascrivibili al dirigente, sia su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale” (Cass. 15 luglio 2009, n. 16498, cit.).

L’affermazione è della Corte di Cassazione, sentenza 24 luglio 2017, n. 18188, che si è pronunziata in ordine al licenziamento di un dirigente il quale aveva dedotto la “falsa applicazione delle norme di diritto (art. 41 Cost., co. 2 e art. 2 Cost.) e del ccnl per dirigenti di aziende industriali (artt. 19 e 22), per erronea assunzione della giustificatezza del licenziamento sulla base di ragioni formali e inspiegabili alla luce dell’apprezzamento sempre goduto in azienda e del processo di ristrutturazione interna personalmente avviato, senza alcun equilibrato bilanciamento dei principi di libertà dell’iniziativa economica e di solidarietà sociale e tutela dei diritti soggettivi, in evidente contrasto con quello di correttezza e buona fede”.
La Corte d’appello di Bologna (confermata dalla Cassazione) aveva rilevato la giustificatezza del licenziamento del dirigente, per l’effettività della soppressione della sua posizione lavorativa di General Manager, a seguito del riassetto organizzativo realizzato, in funzione di una maggiore leggerezza e fluidità della struttura aziendale e del contenimento dei costi, in dipendenza della situazione di difficoltà finanziaria, documentata dalle risultanze dei bilanci prodotti, dai numerosi licenziamenti di dirigenti e quadri, dalla sensibile riduzione degli organici (da 790 dipendenti nel 2008 a 692) dello stabilimento, con successiva esternalizzazione di un’intera divisione e cessione dello stabilimento stesso.

Di particolare rilievo appaiono le precisazioni dei giudici, secondo i quali:

  1. Le esigenze aziendali richieste per la giustificazione del licenziamento in questione non devono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di grave crisi aziendale, tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa detta continuazione (in questa linea, Cass. 8 marzo 2012, n. 3628, ha ritenuto non pretestuoso, né arbitrario, il licenziamento intimato al dirigente da una impresa con tasso quadriennale di perdita del fatturato pari al 9,4%). Di conseguenza, in linea con il consolidato principio già affermato dalla Cassazione (v. fra le tante, Cass. 21 giugno 2016, n. 12823; Cass. 20 giugno 2016, n. 12668; Cass. 9 luglio 2015, n. 14301) e ribadito da Cass. 24 luglio 2017, n. 18177, ai fini della giustificazione del licenziamento del dirigente, è sufficiente la dimostrazione da parte del datore di lavoro, dell’avvenuta riorganizzazione aziendale e del fatto che essa fosse tale da coinvolgere la posizione del dirigente”. (v. P. PIZZUTI, La proficuità della prestazione, in M.N. BETTINI (a cura di), La nozione di licenziamento per giustificato motivo fra tutela del lavoratore e ragioni d’impresa, E.S., 2017, 259).
  2. il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il “parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost.” (Cass. 8 marzo 2011, n. 3628; Cass. 20 giugno 2016, n. 12668, cit.; per Trib. Milano 22 novembre 2007, in LG, 2008,  742, “il licenziamento del dirigente è ingiustificato ogni volta che il datore di lavoro eserciti il proprio diritto di recesso violando il principio fondamentale di buona fede che presiede all’esecuzione dei contratti ex 1375 c.c.”). Pertanto, ove le ragioni sottese al licenziamento siano effettivamente sussistenti e la soppressione della posizione lavorativa venga concretamente attuata, il licenziamento del dirigente è legittimo (Cass. 21 giugno 2016, n. 12823, cit., che ha accertato la legittimità del licenziamento comminato al dirigente alla luce dell’avvicendamento societario scaturito dall’esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, di assegnare ad un socio le funzioni di coordinatore degli agenti sul territorio italiano ricoperte in precedenza dal dirigente. Nella fattispecie non era emerso che un avvicendamento discriminatorio o contrario a buona fede. La posizione del dirigente dipendente, infatti, era stata definitivamente soppressa e le funzioni affidate ad un socio imprenditore e non ad un altro dipendente o collaboratore con eguale qualifica).
  3. Resta fermo, tuttavia, il controllo giudiziale in ordine all’effettiva sussistenza delle esigenze di riorganizzazione aziendale a base del licenziamento e tali da coinvolgere la posizione del dirigente licenziato (Cass. 13 maggio 2015, n. 9796).

Il giudice del merito, dunque, deve limitarsi al controllo sulla effettività delle scelte imprenditoriali poste a base del licenziamento (nella fattispecie esaminata da Cass. n. 18177/17, cit., ridimensionamento dei costi del personale), non potendo, invece, sindacare il merito di tali scelte, garantite dal precetto costituzionale di cui all’art. 41 Cost. (v. F. IACOBONE, L’insindacabilità nel merito delle scelte economico-organizzative, in La nozione di licenziamento.., cit., 281).
In particolare, i giudici hanno sottolineato che il licenziamento del dirigente (che, come detto, non richiede un giustificato motivo oggettivo) “è consentito in tutti i casi in cui sia stato adottato in funzione di una ristrutturazione aziendale dettata da scelte imprenditoriali non sindacabili nel merito purché non arbitrarie, non pretestuose e non persecutorie”. “La esigenza, economicamente apprezzabile in termine di risparmio, della soppressione di una figura dirigenziale in attuazione di un riassetto societario integra pertanto la nozione di giustificazione del licenziamento del dirigente richiesta delle norme collettive ove non emerga, alla stregua di dati obiettivi, la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione”.
In questo senso, v. anche Cass. 14 giugno 2006, n. 13719 (in LG, 2006, 1228), secondo cui “la giustificatezza del recesso del datore di lavoro non deve necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale prosecuzione, posto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con quello della libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost., che verrebbe radicalmente negata, ove si impedisse all’imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell’impresa”. Così, è stato ritenuto illegittimo il licenziamento del dirigente quando le ragioni sottese ad esso non siano riconducibili ad una concreta riorganizzazione o all’esigenza di ridurre i costi del personale, ma soltanto alla volontà di allontanare il dirigente dal vertice della struttura, onde sostituirlo con persona «più gradita» (Cass. 17 febbraio 2015, n. 3121) .
In sintesi, il licenziamento del dirigente può ritenersi lecito solo ove sia sorretto da una ragione che costituisca la «base di una decisione coerente e sorretta da motivi apprezzabili sul piano del diritto», ossia di motivi idonei ad escludere inequivocabilmente l’arbitrarietà del licenziamento medesimo (Cass. 27 agosto 2003, n. 12562).
Tali affermazioni suscitano talune perplessità laddove si consideri che il rilievo dato a criteri quali la “coerenza”, la “non arbitrarietà” e la “non pretestuosità” potrebbe aprire la strada ad un pregnante, quanto inammissibile, sindacato sulle scelte aziendali. Lo stesso è a dirsi circa la scarsa chiarezza del ruolo delle mansioni e cioè se, per giustificare il licenziamento del dirigente, occorra dimostrare la soppressione delle mansioni sue proprie (nel senso che, ad es., esse non siano semplicemente trasferite, con mera modificazione nominale in capo ad altro lavoratore) oppure se valga l’affermazione secondo cui  “per stabilire se sia giustificato il licenziamento di un dirigente intimato per ragioni di ristrutturazione aziendale non è dirimente la circostanza che le mansioni da questi precedentemente svolte vengano affidate ad altro dirigente in aggiunta a quelle sue proprie, in quanto quel che rileva è che presso l’azienda non esista più una posizione lavorativa esattamente sovrapponibile a quella del lavoratore licenziato” (Cass. n. 18177/2017, cit.; n. 12668/2016, cit.; n. 21748/2010); ovvero se si possa prescindere dalla necessità di addurre la soppressione delle mansioni, laddove sussistano chiare esigenze aziendali alla base del licenziamento, essendo sufficiente, come già anticipato, la dimostrazione, da parte del datore di lavoro, “dell’avvenuta riorganizzazione aziendale e del fatto essa fosse tale da coinvolgere la posizione del dirigente” (Cass. n. 18177/2017, cit.). In argomento, v. Trib. Firenze (4 ottobre 2016, n. 834) che, a fronte di una lettera di licenziamento che motivava il recesso dal rapporto di lavoro dirigenziale con l’assunzione delle funzioni apicali da parte dei soci della società (la quale, in seguito al trasferimento di ramo di azienda, risultava la nuova titolare del rapporto di lavoro con il dirigente) ha giudicato illegittimo il licenziamento. Ciò, in quanto le suddette  funzioni apicali non erano state assunte dai soci, bensì da altri dirigenti già in forza nell’organizzazione aziendale e alle dipendenze di singole società facenti parte del gruppo di imprese aggiudicatario del ramo di azienda in cui il dirigente licenziato prestava la propria attività lavorativa.
Come noto, per il dirigente non sussiste l’obbligo di repêchage. Il principio in giurisprudenza è pacifico (v. Cass. 12 luglio 2016, n. 14193, in GLav, 2016, n. 32-33, 46; Cass. 11 febbraio 2013, n. 3175, in ADL, 2013, 1015; Trib. Treviso 14 novembre 2014, in GLav, 2015, n. 16, 31;Trib. Napoli 26 luglio 1997, in RIDL, 1998, 973, con nota di C. FOSSATI; P. LAMBERTUCCI, Il dirigente d’azienda tra orientamento giurisprudenziale, assetti contrattuali e discipline legali: l’occasione per un bilancio, in RIDL, 2012, 157; F. DURVAL, Il c.d. obbligo di repêchage, in La nozione di licenziamento.., cit., 192 ss).

Il licenziamento del dirigente: correttezza, buona fede e libertà di iniziativa economica
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