Lo scioglimento del rapporto di lavoro in conseguenza del raggiungimento dell’età pensionabile da parte del lavoratore non costituisce un provvedimento di recesso e, dunque, non necessita di alcun preavviso ai sensi dell’art. 2118 c. c.
Nota a Cass. 29 agosto 2017, n. 20499
Gennaro Ilias Vigliotti
Alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro prevedono la facoltà del datore di lavoro di risolvere il rapporto con il dipendente che abbia raggiunto la massima età contributiva. In tali casi, secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza della Corte di Cassazione, la comunicazione con la quale l’imprenditore colloca a riposo il lavoratore in forza della clausola contrattuale non integra un’ipotesi di recesso datoriale, ma costituisce la mera estrinsecazione della volontà aziendale di avvalersi di un meccanismo risolutivo previsto in sede di autonomia negoziale. Tale provvedimento, dunque, non è un licenziamento e non ne segue la relativa disciplina (si v., Cass. n. 27425/2014; Cass. n. 4187/2013; Cass. n. 22427/2004; Cass. n. 137/2003).
Il CCNL delle Attività Ferroviarie 16 aprile 2003 prevede, all’art. 48, co. 1, che “Nel caso del raggiungimento dei requisiti previsti per il conseguimento della pensione di vecchiaia […] la risoluzione del rapporto avviene senza obbligo per l’azienda di dare preavviso o di erogare la corrispondente indennità sostitutiva”. Sul punto è sorto un ampio contenzioso tra Trenitalia S.p.a. e molti ex dipendenti che, ricevuta la comunicazione di risoluzione per intervenuto raggiungimento dei requisiti pensionistici, non si sono visti liquidare alcuna indennità da mancato preavviso e, per queste ragioni, si sono rivolti al Giudice del lavoro.
In uno di questi casi, conosciuto dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza del 29 agosto 2017, n. 20499, i giudici di legittimità hanno ribaltato la posizione assunta, nei precedenti gradi di giudizio, dai giudici di merito, i quali avevano parificato la comunicazione di risoluzione inviata ad un dipendente di Trenitalia per aver raggiunto l’età pensionabile ad un recesso per motivi oggettivi, con la conseguenza di condannare l’azienda a versare al lavoratore l’indennità di mancato preavviso, prevista dall’art. 2118, co. 2, c. c. In particolare, la Corte d’Appello di Roma aveva sostenuto la nullità dell’art. 48 del CCNL dell’Attività Ferroviarie in quanto in contrasto con la norma inderogabile contenuta proprio nell’art. 2118 c.c., che prevede l’obbligo del datore di lavoro di concedere al lavoratore il preavviso per il proprio recesso o, in alternativa, a versagli un’indennità pari alla retribuzione spettante per i giorni del preavviso non rispettato.
La Cassazione, però, allineandosi all’indirizzo già richiamato, ha ribadito che nel caso della risoluzione per raggiungimento dell’età pensionabile l’art. 2118 c.c. non può trovare applicazione, poiché vengono meno le tipiche finalità cui tale norme è preposta e cioè, da un lato, l’esigenza di impedire che il lavoratore si trovi improvvisamente e contro la sua volontà a versare in una condizione di disagio economico, e, dall’altro, l’esigenza di consentire che il dipendente disponga di un adeguato tempo per fronteggiare la cessazione del rapporto e trovare una nuova occupazione. Esigenze, quest’ultime, che vengono meno poiché il lavoratore accede al trattamento pensionistico erogato dall’INPS.
In caso di risoluzione per raggiungimento dei requisiti previdenziali, dunque, il datore può legittimamente non versare il preavviso al dipendente, senza perciò incorrere nella violazione del disposto dell’art. 2118 c. c.