Il rifiuto, da parte del dipendente che assiste un familiare disabile, di trasferirsi in un’altra sede aziendale non legittima il licenziamento
Nota a Cass. 12 ottobre 2017, n. 24015
Kevin Puntillo
Il lavoratore che usufruisce dei permessi per l’assistenza ad un familiare disabile, ex L. 5 febbraio 1992, n. 104, “ha il diritto di scegliere la propria sede di lavoro più vicina al domicilio dell’assistito e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, neppure se quest’ultima sia nell’ambito della medesima unità produttiva”.
Tale principio è stato affermato dalla Cassazione con sentenza 12 ottobre 2017, n. 24015, adìta in merito al licenziamento di un lavoratore (fruitore dei suddetti permessi) che, rifiutandosi di subire il trasferimento, si assentava dal lavoro.
In particolare, al lavoratore, era stato comunicato: a) che sarebbe stato trasferito in una nuova sede aziendale appartenente alla stessa unità produttiva distante pochi chilometri da quella originaria, nonché dalla propria abitazione; b) e che l’orario di lavoro era, secondo il datore di lavoro, compatibile con le esigenze di assistenza al familiare disabile.
Come noto, in base alla legge (art. 33, co.5, L. n. 104/1992; il comma è stato poi modificato dall’art. 19, co.1, lett. b), L. 8 marzo 2000, n. 53 e, successivamente, dall’art. 24, co.1, lett. b), L. 4 novembre 2010, n. 183, con la cancellazione della necessaria “convivenza” con l’assistito): “A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti (co.1), ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede (co.5).
La Corte di Cassazione, ritenendo illegittimo il licenziamento intimato al dipendente ed in riferimento all’art. 33, co.5, L. n. 104/1992, sopra riportato, ha affermato i seguenti tre principi:
- l’applicazione dell’art. 33, co.5, cit., “postula, di volta in volta, un bilanciamento di interessi, bilanciamento necessario, per vero, in via generale, per tutti i trasferimenti, atteso il disposto dell’art. 2103 c.c., che, nel periodo finale del primo comma, statuisce che il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.
- “nel necessario bilanciamento di interessi e di diritti del lavoratore e del datore di lavoro, aventi ciascuno copertura costituzionale, dovranno essere valorizzate le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore, occorrendo salvaguardare condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui la persona con disabilità si trova inserita ed evitando riflessi pregiudizievoli dal trasferimento del congiunto ogni volta che le esigenze tecniche, organizzative e produttive non risultino effettive e comunque insuscettibili di essere diversamente soddisfatte” (Cass. nn. 25379/2016, 9201/2012);
- ai sensi dell’art. 33 co.5, L. n. 104/1992 (nel testo modificato dall’art. 24, co.1 lett. b), L. n. 183/2010), “il divieto di trasferimento del lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente opera ogni volta che muti definitivamente il luogo geografico di esecuzione della prestazione anche se lo spostamento venga attuato nell’ambito della medesima unità produttiva (comprendente uffici dislocati in luoghi diversi). Il dato testuale contenuto nella norma, che fa riferimento alla sede di lavoro, non consente, infatti, di ritenere che questa corrisponda alla unità produttiva alla quale fa, invece, riferimento l’art. 2103 c.c.” (v. Cass. n. 24775/2013);
- non si può limitare il diritto del lavoratore a non essere trasferito ad altra sede lavorativa senza il suo consenso, in quanto la inamovibilità è giustificata dal dovere di cura e di assistenza da parte del prestatore al familiare disabile, a meno che non risultino provate, da parte del datore di lavoro, specifiche esigenze tecniche, organizzative e produttive che, in un equilibrato bilanciamento tra interessi, risultino effettive e comunque insuscettibili di essere diversamente soddisfatte. E’ necessario cioè accertare la compatibilità della nuova sede di lavoro con gli obblighi di assistenza del familiare affetto da handicap, indagando se il mutamento della sede stessa alteri le condizioni di vita del contesto familiare in cui la persona con disabilità si trova inserita, nonché il livello di assistenza assicurabile all’esito del mutamento della sede in questione. Inoltre, occorre verificare se sussistano effettive ragioni organizzative e produttive, insuscettibili di essere in altro modo soddisfatte, legittimanti il trasferimento, le quali, “in una situazione di contrapposizione di interessi tutti a copertura costituzionale”, possano valere, “alla stregua di un corretto bilanciamento di interessi (ai sensi dell’art. 1460, co.2, c.c.), a legittimare il trasferimento disposto dalla società e rendere nel concreto più difficoltoso il sostegno del familiare disabile” (v. Cass. nn. 3469/2017, 3959/2016).
- Tutto ciò premesso, “il trasferimento del lavoratore legittima il rifiuto del dipendente che ha diritto alla tutela di cui all’art. 33 co. 5 della L. n. 104 del 1992 di assumere servizio nella sede diversa cui sia stato destinato ove il trasferimento sia idoneo a pregiudicare gli interessi di assistenza familiare del dipendente e ove il datore di lavoro non provi che il trasferimento è stato disposto per effettive ragioni tecniche, organizzative e produttive insuscettibili di essere diversamente soddisfatte”.