Pur nel silenzio della contrattazione collettiva integrativa, il tempo-tuta e di cambio turno dell’operatore sanitario vanno retribuiti
Nota a Cass. 22 novembre 2017, n. 27799
Fabrizio Girolami
Anche in assenza di precise disposizioni della contrattazione collettiva integrativa, l’infermiere di una struttura sanitaria ha diritto a vedersi riconosciuta la retribuzione maturata per il tempo utilizzato per la vestizione e svestizione della divisa aziendale (“tempo-tuta”) nonché per dare e ricevere le consegne all’uscita e all’entrata dal proprio turno di lavoro, trattandosi di adempimenti strettamente connessi alle peculiarità del servizio pubblico sanitario.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza 22 novembre 2017, n. 27799, in relazione alla vicenda di un operatore sanitario, in servizio presso un presidio ospedaliero ricadente territorialmente nell’azienda unità sanitaria locale (AUSL) della regione Abruzzo, che aveva richiesto alla propria azienda il riconoscimento economico di dieci minuti prima e dopo il turno di lavoro per la vestizione/svestizione e per le consegne (per un totale di venti minuti complessivi).
Nella fase di merito del giudizio, la Corte d’Appello di L’Aquila, a conferma della sentenza di primo grado del Tribunale di Pescara, aveva dichiarato il diritto dell’operatore sanitario a percepire la retribuzione maturata per il tempo utilizzato per la vestizione/svestizione della divisa aziendale e per dare/ricevere le consegne all’uscita e all’entrata dal proprio turno di lavoro, trattandosi di adempimenti connessi a un’effettiva e diligente prestazione lavorativa, meritevoli pertanto di compenso economico.
Nel pronunciarsi sul ricorso proposto dall’AUSL contro la sentenza del giudice di appello, la Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha rigettato le doglianze dell’azienda, riconoscendo i diritti del lavoratore.
L’ordinanza in esame si inserisce nel più ampio quadro giurisprudenziale relativo alla questione della computabilità del cd. “tempo-tuta” nell’orario di lavoro e lo arricchisce affermando un principio di diritto che appare particolarmente favorevole per gli operatori del settore.
Per effetto del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 7 giugno 2012, n. 9215, espressamente richiamata nelle motivazioni dell’ordinanza in commento; più in generale, in senso conforme, cfr. Cass. 2 dicembre 2016, n. 24684; Cass. 13 aprile 2015, nn. 7396 e 7397; Cass. 7 febbraio 2014, n. 2837), nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo necessario a indossare l’abbigliamento di servizio (“tempo-tuta”) costituisce tempo di lavoro, e come tale va retribuito, soltanto quando l’attività di vestizione (e svestizione) del dipendente risulta “eterodiretta” dal datore di lavoro, in mancanza della quale tale attività rientra nell’obbligo di diligenza “prodromico” e “preparatorio” all’obbligazione principale del lavoratore e non costituisce titolo per l’erogazione di un autonomo compenso economico.
Secondo l’ordinanza in commento – con riferimento al tempo utilizzato per la vestizione/svestizione – la giurisprudenza sopra richiamata della Cassazione (che, come detto, considera il “tempo-tuta” come tempo di lavoro autonomamente retribuibile laddove qualificato dalla “eterodirezione” del datore di lavoro) non appare applicabile nel caso di specie, in quanto tale attività non è svolta nell’interesse dell’azienda, bensì del superiore interesse della sicurezza e dell’igiene riguardanti sia la gestione del servizio pubblico sanitario sia l’incolumità individuale del personale addetto, sicché la stessa deve ritenersi implicitamente autorizzata da parte dell’azienda sanitaria.
La Cassazione afferma che, nell’ambito del rapporto di lavoro all’interno delle strutture sanitarie, pur in assenza di una specifica disciplina “ad hoc” nella contrattazione collettiva integrativa di settore, il tempo di vestizione/svestizione della divisa aziendale (“tempo-tuta”) dà pieno diritto alla retribuzione, essendo tale obbligo imposto dalle superiori esigenze di sicurezza e igiene riguardanti sia la gestione del servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto.
Inoltre – con riferimento al tempo utilizzato per dare/ricevere le consegne al passaggio di turno – la Cassazione rileva che “per le funzioni che è chiamato ad assolvere lo scambio di consegne va considerato, di per sé stesso, meritevole di ricompensa economica”, sottolineando che in questo modo si è inteso “imprimere a tale attività una nuova rilevanza, accrescendo la dignità giuridica della regola deontologica della continuità assistenziale”.