Una motivazione generica equivale ad un’omissione della comunicazione dei motivi alla base del recesso
Nota a Cass. 26 giugno 2017, n. 15877
Osvaldo Landolfi
La motivazione del licenziamento – qualora il dipendente licenziato chieda al datore di lavoro la comunicazione dei motivi del recesso – deve essere sufficientemente specifica e completa, cioè tale da consentire al prestatore di individuare con chiarezza e precisione la causa del suo licenziamento e poter esercitare un’adeguata difesa, svolgendo ed offrendo idonee osservazioni o giustificazioni.
A statuirlo è la Corte di Cassazione (26 giugno 2017, n. 15877) in relazione al licenziamento per motivo economico di un dipendente, giustificato dalla “perdurante carenza di lavoro” che aveva costretto la società datrice di lavoro a ridurre il personale in servizio.
Per i Giudici di legittimità, così come rilevato anche dalla Corte d’Appello di Firenze, una motivazione che, come nel caso di specie, nulla aggiunge “circa la ragione della scelta di sopprimere specificamente il posto di lavoro cui era addetto” il dipendente, e che, perciò, sia contraddistinta da un’assoluta genericità, corrisponde ad una materiale omissione della comunicazione (al lavoratore) dei motivi giustificanti il recesso; e, pertanto, è inidonea ad assolvere le previsioni sancite dall’art. 2, co. 2, L. 15 luglio 1966, n. 604 (come sostituito dall’art. 1, co. 37, L. 28 giugno 2012, n. 92, c.d. Riforma Fornero), in base al quale: “la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato”.
Tale principio è stato più volte ribadito dalla Suprema Corte in fattispecie analoghe, rilevando che “in caso di licenziamento individuale giustificato dalla necessità di operare una riduzione del personale, ai fini di poter ritenere legittimo il licenziamento, occorre che il datore di lavoro dimostri i motivi che lo hanno indotto al licenziamento e a far ricadere la scelta sull’unica unità produttiva licenziata” (in merito, cfr., tra le tante, Cass. n. 13058/2003 e Cass. n. 7316/2002). Ciò, “facendo leva anche sui canoni di correttezza e buona fede cui deve essere informato, ai sensi dell’art. 1175 c.c., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi, anche il recesso di una di esse” (così, Cass. n. 7046/2011).