Non vi è parallelismo tra l’indennità di maternità prevista per le professioniste e le altre prestazioni previdenziali
Nota a Cass. 12 dicembre 2017, n. 29757
Silvia Rossi – commercialista in Albinia (GR)
La minore tutela della maternità delle libere professioniste rispetto alle lavoratrici subordinate, da tempo oggetto di un vasto dibattito, è stata, come noto, oggetto di una pronunzia della Corte Costituzionale n. 3/1998, la quale ha precisato che il parametro dell’art. 37 Cost. attiene soltanto alla tutela del lavoro subordinato (v anche sentenza n. 181/1993). Esso resta cioè “del tutto estraneo al lavoro autonomo ed a quello dei liberi professionisti” e ciò non realizza alcuna disparità di trattamento (v. sentenze n. 31/1986, n. 181/1993 e n. 150/1994) dal momento che vi è una netta differenza tra lavoro subordinato e lavoro autonomo; differenza da cui discende che “gli strumenti di tutela che le leggi ordinarie apprestano per l’uno non possono ritenersi automaticamente applicabili anche all’altro e che l’assenza dell’obbligo di astensione dal lavoro nel periodo coperto dall’erogazione dell’indennità di maternità in favore delle professioniste non è incostituzionale per violazione dei parametri di cui agli artt. 3 e 32 Cost. perché il sistema di protezione della madre e del bambino costituito dalla legge n. 379/1990 (confluita nel d.lgs. n. 151/2001) deve giudicarsi adeguato in un contesto lavorativo caratterizzato da una notevole autorganizzazione che non impone la necessità di totale astensione”.
Il principio è ribadito dalla Corte di Cassazione (12 dicembre 2017, n. 29757), secondo cui “non esiste alcun parallelismo tra l’indennità di maternità prevista per le professioniste e le altre prestazioni previdenziali, anche alla luce del sistema di finanziamento delle relative prestazioni e per le necessarie esigenze di bilancio della Cassa, giacché la L. n. 379 del 1990, art. 5, prevede il concorso di tutti gli iscritti alla Cassa al finanziamento della indennità in parola, attuato attraverso il versamento di un contributo annuo in misura fissa, rivalutato annualmente, aggiungendo che “al fine di assicurare l’equilibrio delle gestioni delle singole casse… il Ministro del tesoro, sentito il parere dei rispettivi consigli di amministrazione, stabilisce, anche con separati decreti, la variazione dei contributi di cui al presente articolo” (v. anche Cass. n. 22023/2010). A ciò consegue l’autonomia, anche sul piano del relativo finanziamento, della disciplina relativa alla indennità di maternità per le libere professioniste rispetto a quella concernente le prestazioni pensionistiche nonché la previsione di un sistema rapido ed efficiente, idoneo ad ovviare ad eventuali inconvenienti, indotti nel tempo dall’erogazione dell’indennità di maternità, sul piano dell’equilibrio delle gestioni delle singole casse o di possibile incidenza negativa sulle altre prestazioni previdenziali e assistenziali”.
Il che “spiega perché il legislatore tra il 1990 ed il 2003, evidentemente valutando positivamente la sostenibilità dell’equilibrio percentuale tra donne esercenti libere professioni ed universo dei soggetti tenuti al contributo finalizzato all’indennità maternità, ha ritenuto di espandere al massimo possibile l’ampiezza della tutela economica ma ha, successivamente, imposto un tetto massimo allorché la presenza delle donne nelle libere professioni, con vertici di reddito in precedenza impensabili, ha raggiunto livelli non compatibili con l’esigenza di equilibrio finanziario dell’ente in rapporto alle capacità reddituali e contributive della relativa categoria professionale”.
L’indennità di maternità per le libere professioniste (di cui alla L.11 dicembre 1990, n. 379, art. 1) è disciplinata dall’art. 70, L. 26 marzo 2015, n. 151 (come sostituito dall’art. 17, co.1, D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 80) che prevede la corresponsione alle libere professioniste di un’indennità di maternità per i 2 mesi antecedenti la data del parto ed i 3 mesi successivi alla data stessa (art. 70, co.1).
Tale indennità:
- spetta anche al padre libero professionista “per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre libera professionista o per la parte residua, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre” (art. 70, co.3 ter) (la Corte Costituzionale 14 ottobre 2005, n. 385 ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 70 in esame, nella parte in cui non prevedeva il diritto del padre di percepire, in alternativa alla madre, l’indennità di maternità, attribuita solo a quest’ultima). L’indennità erogata al padre è corrisposta “previa domanda al competente ente previdenziale, corredata dalla certificazione relativa alle condizioni ivi previste”. Nell’ipotesi di abbandono, il padre libero professionista ne rende dichiarazione ai sensi dell’art. 47, D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (art. 71, co.3 bis).
- ammonta all’80% “di cinque dodicesimi del solo reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali come reddito da lavoro autonomo dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello dell’evento” (art. 70, co.2)
- non può essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione calcolata nella misura pari all’80% del salario minimo giornaliero (come fissato dall’art. 1 D.L. 29 luglio 1981, n. 402, conv., con modif., dalla L. 26 settembre 1981, n. 537, e successive modificazioni), quale risulta, “per la qualifica di impiegato”, dalla tabella A e dai successivi decreti ministeriali di cui al co.2 del citato art. 1 (art. 70, co. 3).
- non può essere superiore a 5 volte l’importo minimo derivante dall’applicazione del comma precedente (ossia dal co.3). Ogni singola Cassa può però stabilire (con delibera del consiglio di amministrazione, soggetta ad approvazione del Ministero del lavoro), “un importo massimo più elevato, tenuto conto delle capacità reddituali e contributive della categoria professionale e della compatibilità con gli equilibri finanziari dell’ente” (art. 70, co.3 bis);
- spetta in misura intera anche quando la gravidanza, dopo il compimento del sesto mese, sia interrotta per motivi spontanei o volontari, nei casi previsti dagli artt. 4, 5 e 6, L. 22 maggio 1978, n. 194 (art. 71, co.3).
- è corrisposta, “indipendentemente dall’effettiva astensione dall’attività, dal competente ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza in favore dei liberi professionisti, a seguito di apposita domanda presentata dall’interessata a partire dal compimento del sesto mese di gravidanza ed entro il termine perentorio di centottanta giorni dal parto” (art. 71, co.1).
- “è erogata previa domanda al competente ente previdenziale, corredata dalla certificazione relativa alle condizioni ivi previste.
La domanda dell’indennità di maternità va presentata in carta libera e va corredata: a) da certificato medico comprovante la data di inizio della gravidanza e quella presunta del parto; b) dalla dichiarazione redatta ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, attestante l’inesistenza del diritto alle indennità di maternità di cui al Capo III (congedo di maternità nel lavoro subordinato), al Capo X (congedi di maternità, di paternità e parentali per i lavori a termine nella PA) e al Capo XI (indennità di maternità per le lavoratrici autonome e le imprenditrici agricole) (art. 71, co. 2) . Nel senso che l’avvocato che, in ragione di un secondo impiego, goda di una prestazione di maternità erogata da un ente previdenziale diverso dalla Cassa Forense, non ha diritto di beneficiare (anche) del trattamento di maternità previsto da tale ente, v., in questo sito, Cass. 16 novembre 2017, n. 27224, con nota di K. PUNTILLO, Maternità in caso di doppia attività lavorativa: l’indennità è unica.