Nel licenziamento per fine appalto non occorre l’applicazione dei criteri di scelta previsti dalla procedura di licenziamento collettivo

Nota a Cass. 27 ottobre 2017, n. 25653

Kevin Puntillo

Se il licenziamento intimato nei confronti di un dipendente si basa sulla cessazione dell’appalto e sulla conseguente soppressione del posto cui era impiegato il lavoratore, la validità del recesso non è subordinata all’applicazione, in via analogica, dei criteri di scelta previsti nella selezione del lavoratore in esubero dalla procedura di licenziamento collettivo ex art. 5 L. n. 223/1991.

Ad affermarlo è la Cassazione con la sentenza 27 ottobre 2017, n. 25653, in merito al licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore, determinato dalla soppressione del posto di lavoro per il venir meno dell’appalto cui era addetto. Il recesso, pertanto, non trova ragione in una generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, bensì nella soppressione di un servizio legato, per l’appunto, alla cessazione di un appalto. Sicché, il nesso causale che deve sussistere tra la ragione organizzativa o produttiva posta a fondamento del licenziamento ai sensi della L. n. 604/1966, art. 3, e la soppressione del posto di lavoro è “idoneo, di per sé, ad individuare il personale da licenziare” (cfr. Cass. n. 25201/2016). In altri termini, la correlazione che necessariamente lega la ragione organizzativa e produttiva posta a fondamento del recesso con la posizione lavorativa non più necessaria identifica il soggetto destinatario del provvedimento espulsivo, senza bisogno di fare ricorso ad ulteriori criteri selettivi.

Secondo la giurisprudenza consolidata, il licenziamento per motivi oggettivi è limitato oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. – identificate nei criteri che la L. n. 223/1991 (art. 5), ha dettato per i licenziamenti collettivi – solo quando la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile (v. Cass. n. 7046/2011 e Cass. n. 11124/2004).

Tali criteri, infatti, costituiscono “uno standard particolarmente idoneo a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo, unilaterale, potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale” (v. Cass. n. 6667/2002). Tuttavia, essi non regolano direttamente il licenziamento individuale plurimo, (Cass. n. 14021/ 2016). Peraltro, oltre allo standard fornito dai criteri della L. n. 223/1991 (art. 5), “non può affatto escludersi l’utilizzabilità di altri criteri, purché non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati” (Cass. n. 25192/ 2016).

Licenziamento per cessazione dell’appalto e criteri di scelta
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