I parametri utilizzati per la scelta dei lavoratori licenziati per riduzione di personale devono essere oggettivi, conosciuti e verificabili.
Nota a Trib. Campobasso 10 gennaio 2018, nn. 3 e 4
Francesca Albiniano
Il licenziamento collettivo per riduzione di personale, ai sensi dell’art. 24, L. 23 luglio 1991, n. 223, deve basarsi su precisi criteri di scelta.
La questione è stata affrontata dal Tribunale di Campobasso (con due sentenze, rispettivamente nn. 3 e 4 del 10 gennaio 2018) su ricorso di un lavoratore (difeso dall’avv.to Nicola Mancini, Campobasso) licenziato per riduzione di personale, che lamentava la non corretta applicazione dei canoni di scelta, costituiti dal triplice criterio dei carichi di famiglia (cui l’azienda aveva attribuito un peso di 34%), dell’anzianità di servizio aziendale (cui l’azienda aveva attribuito un peso di 33%) e delle esigenze tecnico produttive (cui l’azienda aveva attribuito un peso di 33%).
1.Tali parametri, come noto, sono disciplinati dall’ art. 5, L. n. 223/1991, che stabilisce: “1. L’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all’articolo 4, comma 2 (rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell’articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché le rispettive associazioni di categoria), ovvero, in mancanza di questi contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro:
a) carichi di famiglia;
b) anzianità;
c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative.
2. … “L’impresa non può altresì collocare in mobilità una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione”.
E, quanto ai soggetti disabili, in base all’art. 10, co. 4, L. n. 68/1999: “4. Il recesso di cui all’articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, esercitato nei confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, sono annullabili qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista all’articolo 3 della presente legge”.
In particolare, il lavoratore evidenziava come i suddetti criteri si basassero su punteggi discrezionali elaborati secondo dati tecnici sui tempi delle procedure, sui target di produzione e sulla qualità del prodotto. Si trattava, cioè, non di parametri oggettivi, riscontrabili e verificabili, bensì di requisiti frutto della valutazione della direzione di produzione o dei responsabili dei lavoratori.
Il Tribunale ha accolto il ricorso, ritenendo inidonei i suddetti termini di raffronto, con specifico riferimento al terzo criterio considerato, rispetto agli altri, “poco comprensibile e preponderante (nonostante l’apparente parità di percentuale)”. Il giudice ha inoltre rilevato che il dato del punteggio tecnico organizzativo era stato “corretto” in base a “parametri discrezionali e valutativi (quindi non indagabili e controllabili secondo dati oggettivi), aggiuntivi e non indicati”, nonché inspiegabili quanto al coefficiente di calcolo ed all’individuazione del metro di misura.
Inoltre, il suddetto criterio, legato alle esigenze tecniche non risultava fondato su dati numerici delle prestazioni, ma su stime dei superiori gerarchici adottate mediante criteri valutativi non conosciuti e non intellegibili.
Su tema, v. anche Cass. 27 ottobre 2017, n. 25653, in questo sito, annotata da K. PUNTILLO.