Per la configurabilità della giusta causa di licenziamento non è necessario che la condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o dolosa e non vi è automatismo nell’irrogazione della sanzione.

Nota a Cass. 30 novembre 2017, n. 28796

Fabio Iacobone

Ai fini del licenziamento disciplinare, la valutazione della condotta da sanzionare deve essere operata con riferimento ad una serie di aspetti concreti afferenti ad una serie di fattori, quali: la natura del singolo rapporto, il grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, il nocumento eventualmente arrecato, le circostanze in cui si sono verificati i fatti, i motivi e l’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo (Cass. n.1977/2016 e n.12059/2015).

In particolare, con riguardo a quest’ultimo elemento, “al fine di ritenere integrata la giusta causa di licenziamento, non è necessario che l’elemento soggettivo della condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o doloso, nelle sue possibili e diverse articolazioni, posto che anche un comportamento di natura colposa, per le caratteristiche sue proprie e nel convergere degli altri indici della fattispecie, può risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave ed irrimediabile da non consentire l’ulteriore prosecuzione del rapporto” (v. Cass. n.13512/2016 e n. 5548/2010).

Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione (30 novembre 2017, n. 28796) in relazione al licenziamento intimato per violazione del segreto d’ufficio dal Direttore Regionale Agenzia delle Entrate, titolare dell’Ufficio dei Procedimenti Disciplinari.

Il ccnl  delle Agenzie fiscali (28.5.2004), tra gli obblighi imposti al lavoratore, impone, infatti, al dipendente di rispettare il segreto d’ufficio, di non utilizzare a fini privati le informazioni di cui disponga per ragioni d’ufficio e di non valersi di quanto è di proprietà dell’Agenzia per ragioni non di servizio (art. 65) e punisce con la sanzione conservativa (sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da 11 giorni fino ad un massimo di 6 mesi) “l’occultamento di fatti e circostanze relativi ad illecito uso, manomissione, distrazione di somme o beni di spettanza o di pertinenza dell’Agenzia o ad essa affidati, quando, in relazione alla posizione rivestita, il lavoratore abbia un obbligo di vigilanza o di controllo” (art. 67, co. 4, lett. c).

I giudici hanno stabilito che il comportamento descritto nel richiamato co. 4, lett. c) dell’art. 67 era diverso da quello, ben più grave, addebitato al lavoratore e tale da legittimare il licenziamento in tronco. A quest’ultimo era stato infatti “contestato non l’omesso esercizio dei poteri di vigilanza e di controllo e di occultamento di condotte illecite commessi da altri lavoratori, ma di avere acceduto abusivamente al sistema informativo dell’Anagrafe Tributaria per ragioni diverse da quelle di servizio, di avere acquisito dai colleghi di lavoro informazioni e notizie relative a pratiche non di sua competenza, di avere comunicato dette informazioni e i dati relativi agli accertamenti in corso a terzi estranei, di avere violato l’art. 11, co. 3 del Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e di avere violato l’obbligo di evitare situazioni o comportamenti idonei a nuocere agli interessi o all’immagine dell’Amministrazione”.

La Corte ha anche ribadito il principio che, in materia di illeciti disciplinari tipizzati dalla contrattazione collettiva, “deve escludersi la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell’irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto”.

L’affermazione si pone in linea con l’orientamento consolidato (v. Cass. n.10842/2016, n.1315/2016), secondo cui la proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi “risulta trasfusa, per l’illecito disciplinare, nell’art. 2106 c.c., con conseguente possibilità per il giudice di annullamento della sanzione “eccessiva”, proprio per il divieto di automatismi sanzionatori, non essendo, in definitiva, possibile introdurre, con legge o con contratto, sanzioni disciplinari automaticamente conseguenziali ad illeciti disciplinari”.

Rispetto del segreto di ufficio e licenziamento disciplinare
Tag:                                                                                                         
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: