Nota a Cass. 12 dicembre 2017, n. 29753
Gennaro Ilias Vigliotti
L’art. 2, co. 1, della L. n. 604/1966 pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di intimare il licenziamento del dipendente in forma scritta, in modo da attribuire certezza alla volontà di recesso da questi espressa.
La legge, però, non indica il mezzo idoneo a trasmettere la comunicazione di estinzione del rapporto di lavoro, lasciando dubbi circa la possibilità di ricorrere a strumenti di natura tecnologica, primo fra tutti quello della posta elettronica.
Il problema del metodo di trasmissione della comunicazione di licenziamento non è nuovo, ma è stato posto in passato con riferimento a mezzi di consegna diversi da quelli tradizionali (ossia quello “a mani” o tramite raccomandata postale). Si pensi, ad esempio, all’affissione della lettera in bacheca (ritenuta illegittima da Cass. 29 aprile 1977, n. 1654), alla consegna del libretto di lavoro con la data di cessazione del rapporto (approvata da Cass. 13 agosto 2007, n. 17652), al telegramma postale (valutata idonea, tra le tante, da Cass. 17 maggio 2005, n. 10291).
Il fondamento delle decisioni che hanno autorizzato il ricorso a strumenti alternativi di trasmissione della lettera di licenziamento è ravvisabile nella loro idoneità a garantire, da una parte, l’effettiva attribuibilità della comunicazione al datore di lavoro e, dall’altra, l’effettivo ingresso del recesso nella conoscibilità del lavoratore (Cass. 19 luglio 2012, n. 12499). Elementi, questi ultimi, la cui sussistenza va valutata concretamente e che possono essere provati dalle parti anche tramite prova testimoniale.
Se accertate giudizialmente, attribuibilità della comunicazione al datore di lavoro e sua conoscibilità da parte del lavoratore realizzano pienamente l’esigenza di certezza dell’atto di recesso richiesta dall’art. 2 della L. n. 604/1966, rendendo conseguentemente legittimo il mezzo di trasmissione utilizzato.
L’avvento di mezzi tecnologici di comunicazione più evoluti ha posto il problema della loro utilizzabilità per l’intimazione del licenziamento.
Si pensi, ad esempio, agli sms: il messaggio telefonico di testo è certamente una comunicazione scritta, ma non garantisce né l’effettiva attribuibilità alla persona fisica intestataria dell’utenza di invio, né l’effettiva ricezione della comunicazione da parte del destinatario.
Secondo una parte della giurisprudenza, l’sms non è idoneo a trasmettere la volontà del datore di lavoro di licenziare: esso, infatti, non garantirebbe con certezza l’autore dell’atto, né la data di invio e di ricezione (v. Trib. Monza 10 giugno 2013, in Banca Dati De Jure).
Più di recente, però, questo strumento è stato ritenuto appropriato per trasmettere il licenziamento: secondo un diverso indirizzo, infatti, se dall’analisi del fatto si evince che la comunicazione via messaggio telefonico è stata effettivamente ricevuta dal lavoratore e da questi intesa come proveniente dal proprio datore di lavoro (ad esempio perché il lavoratore ha risposto all’sms o perché si è comportato in modo da dimostrare di aver effettivamente recepito il messaggio come un atto di licenziamento), allora tale comunicazione è adeguata a realizzare l’esigenza di certezza richiesta dalla legge in materia di intimazione dell’atto di recesso e, conseguentemente, è da ritenersi legittima (si v. App. Firenze 5 luglio 2016, n. 629, in www. soluzionilavoro.it; per la legittimità del licenziamento via Whatsapp, v. Trib. Catania (ord.) 27 giugno 2017, in questo sito con nota di G. PIGLIALARMI, Due “spunte” e sei licenziato: il recesso dal rapporto di lavoro è possibile anche tramite Whatsapp).
Venendo al caso del licenziamento intimato tramite comunicazione di posta elettronica, è necessario distinguere tra casella e-mail ordinaria e certificata.
Com’è noto, infatti, questo secondo modello tecnologico è caratterizzato da un sistema di doppia notifica di invio e consegna che garantisce l’identità del mittente e del destinatario, nonché la certezza delle principali informazioni di trasmissione (data, ora e contenuto). La giurisprudenza di merito, dunque, si è sinora schierata a favore del ricorso ad un simile strumento di comunicazione per trasmettere il licenziamento (si v., tra le altre, Trib. Roma, 20 dicembre 2013, dott.ssa Giovene di Griasole, inedita per quanto consta).
Il problema è che difficilmente i singoli lavoratori sono dotati di casella di posta elettronica certificata, e dunque la maggior parte dei casi valutati dai giudici attiene ad ipotesi di ricorso alla posta elettronica ordinaria, che non è dotata di sistemi di certificazione della provenienza, della ricezione e degli altri dati di invio.
Di recente, è intervenuta sul punto la Corte di Cassazione (sentenza del 12 dicembre 2017, n. 29753): ricorrendo agli stessi criteri utilizzati in precedenza per il telegramma e gli sms, i giudici di legittimità hanno affermato che la posta elettronica ordinaria può costituire valido mezzo di trasmissione della lettera di licenziamento se dall’analisi del fatto concreto risulta che il destinatario abbia effettivamente ricevuto il messaggio e lo abbia inteso come atto di recesso del datore di lavoro, e se naturalmente accordi collettivi o individuali non impongano l’utilizzo di altre specifiche modalità. Nel caso conosciuto dalla Corte, alla comunicazione del licenziamento via posta elettronica da parte del datore di lavoro erano seguite altre mail del lavoratore ai suoi colleghi, tutte prodotte in giudizio, in cui questi si riferiva esplicitamente al recesso inviatogli, dando prova di essere perfettamente consapevole della natura dell’atto recapitatogli e degli effetti da esso scaturenti. In sintesi, il ricorso alla posta elettronica ordinaria per trasmettere la lettera di recesso è valido se il datore di lavoro fornisce la prova che il lavoratore ha effettivamente ricevuto il messaggio e lo ha percepito come atto di licenziamento.
La posta elettronica, dunque, può costituire un valido mezzo di trasmissione del licenziamento, ma è onere del datore di lavoro provare, anche tramite testimonianza, che il messaggio proviene dalla sua casella e che il lavoratore lo ha effettivamente ricevuto e compreso; circostanza, quest’ultima, che può desumersi anche dal comportamento tenuto dal dipendente dopo la trasmissione della lettera.
Del resto, la scelta di attribuire sempre maggior rilievo agli strumenti di comunicazione elettronica nell’ambito del rapporto di lavoro è in linea con i più recenti provvedimenti adottati dal Legislatore. Si pensi, ad esempio, alle prestazioni occasionali disciplinate dall’art. 54-bis del D.L. n. 50/2017, convertito dalla L. n. 96/2017: in base al comma 12 di tale norma, il committente può comunicare al collaboratore via sms o posta elettronica (anche ordinaria) «il compenso pattuito, il luogo di svolgimento e la durata della prestazione, nonché ogni altra informazione necessaria ai fini della gestione del rapporto».