La fruizione di un finanziamento per la formazione all’estero, finalizzata ad ottenere il titolo di medico specialista, può essere legittimamente subordinata all’impegno di esercitare la professione in Italia per un periodo di tempo predeterminato.

Nota a CGUE 20 dicembre 2017, C – 419/16

Gennaro Ilias Vigliotti

È legittima la L. n. 1/1986 della Provincia Autonoma di Bolzano che prevede per i medici specializzandi un impegno a lavorare per almeno 5 anni, nei 10 successivi alla specializzazione, presso l’Asl della provincia che ne ha finanziato gli studi all’estero, prevedendo, in caso contrario, l’impegno a rimborsare sino al 70% delle somme percepite, oltre agli interessi.

Lo ha deciso la Corte di Giustizia UE, sez. III, con la sentenza 20 dicembre 2017, C – 419/16, la quale ha stabilito che: gli artt. 45 e 49 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa di uno Stato membro in cui “la concessione dell’assegno nazionale destinato a finanziare una formazione, impartita in un altro Stato membro, che porta ad ottenere il titolo di medico specialista, sia subordinata alla condizione che il medico beneficiario eserciti la propria attività professionale nel primo Stato membro di cui sopra per una durata di cinque anni entro il periodo di dieci anni a decorrere dalla data di conseguimento della specializzazione o, in mancanza, che detto medico rimborsi fino al 70% dell’importo dell’assegno percepito, oltre agli interessi”. Ciò, salvo che le misure previste dalla suddetta normativa “non contribuiscano effettivamente al perseguimento degli obiettivi di protezione della sanità pubblica e di equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale ed eccedano quanto è necessario a tal fine..”.

Nello specifico, la Corte ha enunciato i seguenti principi.

È vero che “gli Stati membri devono rispettare il diritto dell’Unione, e in particolare le disposizioni del Trattato FUE relative alle libertà fondamentali che comportano il divieto per gli Stati membri di introdurre o mantenere ingiustificate restrizioni all’esercizio di tali libertà nel settore delle cure sanitarie (v., in tal senso, sentenza 21 settembre 2017, Malta Dental Technologists Association e Reynaud, C-125/16, EU:C:2017:707, punto 54 e la giurisprudenza ivi citata)”.

Ed è vero che la normativa dello Stato membro che, come detto, “subordini la concessione di un assegno destinato a finanziare una formazione come medico specialista impartita in un altro Stato membro alla condizione che il medico beneficiario eserciti la propria attività professionale nel primo Stato membro di cui sopra per una certa durata a decorrere dalla data di conseguimento della sua specializzazione, può dissuadere tale medico dell’esercitare il proprio diritto alla libera circolazione o alla libertà di stabilimento”, (di cui agli artt. 45 e 49 TFUE). Ciò, in quanto il medico in questione sarà spinto a non lasciare il proprio Stato membro di origine per andare a lavorare o a stabilirsi in un altro Stato membro, dovendo poi rimborsare fino al 70% dell’importo dell’assegno percepito, oltre agli interessi (v. sentenza  8 novembre 2012, , C-461/11, EU:C:2012:704, punto 31).

Tuttavia, secondo la consolidata giurisprudenza, eventuali misure nazionali che ostacolino o rendano meno attraente l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato possono essere giustificate ammesso che: a) perseguano un obiettivo di interesse generale; b) siano idonee a garantirne la realizzazione; c) e non eccedano quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito (v. sentenza 13 luglio 2016, C-187/15, EU:C:2016:550, punto 29 e la giurisprudenza ivi citata).

Tutto ciò premesso, la Provincia autonoma di Bolzano e la Commissione europea hanno rilevato che la salute e la vita delle persone si collocano al primo posto tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato e che “le misure previste dalla normativa nazionale in discussione nel procedimento principale sono destinate ad assicurare alla popolazione di tale provincia un’assistenza medica specialistica di qualità elevata, equilibrata e accessibile a tutti, preservando al tempo stesso l’equilibrio finanziario della sicurezza sociale”.

Orbene, l’obiettivo di conservare, per motivi di sanità pubblica, un servizio medico e ospedaliero equilibrato e accessibile a tutti può essere ricondotto fra le deroghe giustificate da motivi di sanità pubblica, qualora l’obiettivo stesso contribuisca al conseguimento di un livello elevato di tutela della salute. È questo il caso delle misure che perseguano lo scopo, di interesse generale, di garantire, nel territorio dello Stato membro interessato, “un accesso sufficiente e permanente a una gamma equilibrata di cure mediche di qualità e che, dall’altro, mirino ad assicurare un controllo dei costi e ad evitare, per quanto possibile, qualsiasi spreco di risorse finanziarie, tecniche e umane (v., in tal senso, sentenza 28 gennaio 2016, C-50/14, EU:C:2016:56, punti 60 e 61)”.

Nello specifico, la normativa nazionale in discussione nel procedimento principale si prefigge il fine di creare dei posti supplementari di medico specialista, incrementando il numero di professionisti appartenenti a tale categoria e contribuendo altresì a soddisfare la relativa domanda nella provincia di Bolzano. Ciò, mediante l’obbligo, per coloro che abbiano beneficiato dell’assegno formativo, di esercitare la loro attività professionale nella Provincia interessata per un determinato periodo dopo il conseguimento della loro specializzazione.

Sicché, può affermarsi che le misure previste dalla normativa nazionale in discussione nel procedimento perseguono obiettivi legittimi e che non esistono misura alternative capaci di permettere a detta Provincia di assumere un numero sufficiente di medici specialisti bilingue idonei ad esercitare la loro professione.

In particolare, nella provincia di Bolzano si è perseguito l’obiettivo, di interesse generale, di garantire: 1)  “un accesso sufficiente e permanente ad una gamma equilibrata di cure mediche di qualità, idoneo a contribuire al controllo dei costi connessi a tale servizio e, dunque, a proteggere la salute pubblica”; 2) la disponibilità di cure mediche di qualità nelle due lingue ufficiali di tale regione (tedesco e italiano), stante la difficoltà di assumere un numero sufficiente di medici specialisti idonei a esercitare la loro professione nelle due lingue.

D’altra parte, osserva la Corte, secondo la giurisprudenza consolidata, spetta agli Stati membri stabilire il livello con cui essi intendono assicurare la protezione della salute pubblica ed il modo in cui tale livello debba essere raggiunto. Bisogna perciò riconoscere loro un margine di discrezionalità, anche sul presupposto che il livello di assistenza può variare da uno Stato membro all’altro (v., in conformità, sentenza 21 settembre 2017, cit., punto 60).

Corte di giustizia UE e medici specializzandi (CGUE 20 dicembre 2017, C-419/16)
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