Il versamento di una somma di denaro per finalità truffaldina o corruttiva non è ripetibile per contrarietà al buon costume ai sensi dell’art. 2035 c.c.
Nota a Cass. 26 gennaio 2018, n. 2014
Daria Pietrocarlo
Le prestazioni contrarie ai principi ed alle esigenze etiche costituenti la morale sociale in quanto volte, con finalità fraudolente, a creare una fittizia posizione previdenziale, devono ritenersi irripetibili ai sensi dell’art. 2035 c.c.. E ciò in ossequio al principio, più generale, secondo cui una prestazione posta in essere da una parte in contrasto con il principio del buon costume non può poi dalla stessa essere invocata in giudizio per trarne dei personali benefici.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2014/2018, in merito ad una questione che prende avvio dalla domanda del ricorrente diretta a far accertare la simulazione assoluta del contratto di lavoro e quindi la nullità del rapporto instaurato con la convivente, poi divenuta moglie, posto in essere al fine di accreditarle i contributi previdenziali. Nel domandare la ripetizione dell’indebito, il ricorrente deduceva come le prestazioni non fossero riconducibili a vincoli di dipendenza, bensì a rapporti personalissimi di condivisione familiare.
Secondo la Corte d’Appello di Genova la richiesta di restituzione delle somme erogate non poteva essere accolta, contrastando con il disposto dell’art. 2035 c.c., secondo il quale le somme erogate non sono ripetibili se le relative prestazioni risultano contrarie al buon costume, concetto nel quale rientrano anche le esigenze etiche della coscienza collettiva a livello morale e sociale in un determinato momento o ambiente.
La Corte di Cassazione, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Genova, secondo la quale la irripetibilità delle menzionate somme dipendeva dall’aver il ricorrente eseguito una prestazione per uno scopo contrario al buon costume, ossia la falsa costituzione della posizione contributiva. In particolare, la Suprema Corte ha rilevato come le erogazioni al coniuge avevano avuto il solo fine di rendere verosimile l’esistenza del rapporto di lavoro allo scopo di acquisire una posizione contributiva cui la parte non aveva diritto, ed erano quindi somme irripetibili ai sensi del citato art. 2035 c.c..
Sulla nozione di buon costume, la Corte di Cassazione ha ribadito un orientamento giurisprudenziale già espresso in passato (cfr. Cass. n. 9441/2010), secondo cui “la nozione di buon costume non si identifica soltanto con le prestazioni contrarie alle regole della morale sessuale o della decenza, ma comprende anche quelle contrastanti con i principi e le esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico; pertanto, chi abbia versato una somma di denaro per una finalità truffaldina o corruttiva non è ammesso a ripetere la prestazione, perché tali finalità, certamente contrarie a norme imperative, sono da ritenere anche contrarie al buon costume”.
Nell’adeguarsi alla suddetta indicazione interpretativa, i giudici hanno correttamente ritenuto che non si era effettivamente instaurato tra le parti alcun rapporto di lavoro e non vi era stata alcuna prestazione lavorativa; sicché, le erogazioni effettuate, sia retributive che contributive, avevano “la sola finalità di costituire il presupposto per ricevere benefici pensionistici indebiti”.